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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Operazione "Pupi di pezza": lo studio Pogliese, il "circuito criminale" ed il prestanome

Terremoto giudiziario, anche se indiretto, sulla politica cittadina. Questa mattina gli uomini della Guardia di Finanza di Catania hanno infatti arrestato, insieme ad altre 10 persone, il noto commercialista Antonio Pogliese, padre del sindaco Salvo Pogliese

Terremoto giudiziario, anche se indiretto, sulla politica cittadina. Questa mattina gli uomini della Guardia di Finanza di Catania hanno infatti arrestato, insieme ad altre 10 persone, il noto commercialista Antonio Pogliese, padre del sindaco Salvo Pogliese. Una bufera nata dall'indagine "pupi di pezza", coordinata dalla Procura di Catania, grazie alla quale gli inquirenti hanno scoperchiato un "sistema di bancarotte fraudolente (patrimoniali e documentali) e reati tributari (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) anche in forma associata nonché delitti di favoreggiamento personale e reale". Un provvedimento che ha portato, tra le altre cose, anche al sequestro preventivo diretto di 4 marchi registrati e 4 complessi aziendali per un valore complessivo di circa 11 milioni di euro, "tutti oggetto di condotte distrattive", spiegano i magistrati.

Tutti i nomi delle persone coinvolte: tra loro il padre del sindaco Pogliese

Operazione "Pupi di pezza", le indagini

Le indagini, in particolare, hanno disvelato l’esistenza di un collaudato sistema fraudolento in grado di garantire a diversi gruppi familiari imprenditoriali la sottrazione al pagamento di un complessivo volume di imposte di oltre 220 milioni di euro e la contestuale elusione di procedure esecutive e concorsuali. Un'operazione nata soltanto grazie al monitoraggio delle posizioni di contribuenti destinatari di ingenti cartelle esattoriali che avviano la procedura di liquidazione affidando la stessa ad alcuni “prestanome” in modo "da escludere gli effettivi amministratori da ogni responsabilità penale e civile con l’unica finalità di continuare l’attività d’impresa attraverso una differente, solo in apparenza, società commerciale".

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Lo studio Pogliese ed il circuito criminale

Ad orchestrare e scandire le fasi del "circuito criminale", così come lo definiscono i pm, era lo studio associato Pogliese, che assumeva il ruolo di “regista” del sistema illecito attraverso l’opera diretta del commercialista Antonio Pogliese e di alcuni suoi associati, tra i quali Michele Catania (cl.1966) e Salvatore Pennisi (cl.1973), i quali, avvalendosi di Salvatore Virgillito (cl.1953), anch’egli agli arresti domiciliari, costituivano "un’associazione a delinquere (almeno dal 2013) dedita ad una serie indeterminata di condotte delittuose in materia societaria, fallimentare e fiscale".

Il meccanismo nei dettagli

Con l'utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali nonché di accertamenti bancari e acquisizioni documentali presso enti pubblici, l'indagine ha messo in luce l’esistenza di un "articolato sistema illecito" che si sviluppava attraverso le seguenti fasi: una società in stato palese di deficit finanziario caratterizzato, in particolare, da consistenti debiti erariali  si affidava allo studio Pogliese al fine di eludere eventuali procedure fallimentari e di riscossione. Nello specifico, i professionisti indagati subentravano formalmente quali intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali dei gruppi societari ma, di fatto, fornivano un illecito “pacchetto” di servizi per condurre le imprese “sottopatrimonializzate” al riparo da possibili investigazioni delle Autorità preposte; con il subentro dello studio Pogliese, le imprese venivano poste in liquidazione (ancorché la loro situazione patrimoniale imponesse il deposito delle scritture contabili in Tribunale per l’avvio della procedura fallimentare), affidando il ruolo di liquidatore a persona di fiducia dello studio Pogliese, priva di competenze professionali, il cui compenso mensile (di qualche centinaio di euro) era corrisposto dagli effettivi amministratori della società. 

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Il liquidatore "prestanome"

Il liquidatore prestanome favoriva l’effettuazione di "indebiti pagamenti preferenziali e la distrazione degli asset patrimoniali più significativi a favore di ulteriori società riconducibili agli stessi amministratori di quella posta in liquidazione (nei fatti, una società “specchio” con oggetto sociale similare, sedi coincidenti nonché il medesimo personale dipendente e stessi fornitori e clienti, che attraeva dalla società decotta gli elementi patrimoniali positivi acquisendoli a condizioni economiche di assoluto vantaggio)"; il tutto a danno dell’Erario che restava l’unico creditore non soddisfatto. In un'altra fase ci sarebbe poi stata la "chiusura della liquidazione e cancellazione dal registro delle imprese della società originaria, nel frattempo “svuotata” di tutto tranne che delle imposte iscritte a ruolo che restavano le uniche passività finanziarie non soddisfatte". "Si evidenzia che - aggiungono le Fiamme Gialle - trascorso un anno dalla cancellazione, il Pubblico Ministero, ai sensi della legge fallimentare, non può più chiederne il fallimento". Il liquidatore fittizio era gestito da Salvatore Virgillito che rappresentava l’anello di congiunzione tra i reali amministratori delle società decotte, il prestanome e lo studio associato Pogliese.

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Le intercettazioni

Emblematiche sono diverse conversazioni telefoniche intercettate nelle quali Virgillito lamentava con i professionisti dello studio Pogliese il mancato versamento delle “paghe” mensili garantite al liquidatore di comodo dai reali amministratori delle "società commerciali truffaldine". Nei casi specifici che ora saranno brevemente rassegnati, la Procura, supportata dalla Guardia di Finanza di Catania che ha assicurato un’attività costante di analisi e un monitoraggio a tappeto delle esposizioni debitorie maturate da contribuenti infedeli nei confronti dello Stato e penetranti attività investigative, nel corso delle indagini ha esercitato tempestivamente le funzioni attribuite dalla legge fallimentare presentando d’iniziativa la richiesta per la dichiarazione di fallimento delle società insolventi. Il tempestivo intervento giudiziario ha scompaginato i progetti criminali, da tempo avviati, suscitando le immediate reazioni degli indagati che, contando sulla cronica inerzia dell’Agente di riscossione, non avevano tenuto conto della possibile azione della Procura.

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