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Cronaca Caltagirone

Sprar del calatino, ecco come vengono accolti i rifugiati

Il modello di accoglienza si distingue nettamente da quello fornito presso il Cara di Mineo, considerato che il numero dei beneficiari è nettamente inferiore: gli interventi sono personalizzati, rivolti a ciascun ragazzo e con il supporto della realtà del "terzo settore"

Non chiamateli “ghetto” e nemmeno “recipienti” per poveri disgraziati isolati dal contesto: gli Sprar (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sono dei centri costituiti da una rete di enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Nella sola zona del calatino ne sono presenti tre: a Caltagirone, a Vizzini e a Licodia Eubea (anche se quest’ultimo è l’ampliamento di quello di Vizzini). 

L'accoglienza negli Sprar

Il modello di accoglienza si distingue nettamente da quello fornito presso il Cara di Mineo, considerato che il numero dei beneficiari è nettamente inferiore: gli interventi sono personalizzati, rivolti a ciascun ragazzo e, con il supporto della realtà del “terzo settore”, offrono servizi di consulenza legale, mediazione linguistico-culturale, sostegno psico-relazionale, assistenza sanitaria, orientamento ed accompagnamento ai servizi presenti sul territorio, e ancora iscrizione anagrafica e al centro per l’impiego, attività di socializzazione ed integrazione.

Il progetto Sprar di Caltagirone nasce nel febbraio del 2011, poiché lo stesso Comune aveva aderito alla campagna del 2009 in seguito all’emergenza immigrazione dichiarata nel 2008. Dal 2011 al 2013 è gestito dalla cooperativa “San Giovanni Bosco” della quale è presidente Angela Ascanio che abbiamo incontrato. “Questo progetto funziona per dare un servizio di accoglienza integrata, poiché i beneficiari (15 uomini adulti più 6 dell’ampliamento) hanno dei doveri, ma soprattutto diritti e conoscere le loro storie aiuta ad abbattere i pregiudizi. La nostra cooperativa dispone al suo interno di figure professionali che nel tempo, o per percorso professionale o per esperienza maturata nel settore, hanno accompagnano i beneficiari in questo percorso” spiega il presidente dell’ente gestore dello Sprar.

I ragazzi possono rimanere all’interno del progetto per 6 mesi o comunque fino alla definizione del loro status giuridico: se entrano come “richiedenti asilo” il percorso può, però, durare anche un anno e mezzo, considerata la mole di lavoro alla quale è sottoposta la questura di Catania. 

“Sul territorio i ragazzi si trovano bene: innanzitutto perché Caltagirone è accogliente, soprattutto quando viene compreso che si fa parte di una rete di un progetto che li assiste, li accompagna, li sostiene. La rete diventa un ulteriore punto di forza: essendoci una cabina di regia che parte da Roma, tutto avviene con movimenti organizzati e gli inserimenti avvengono perché predisposti dal servizio centrale; altre volte ci sono beneficiari sul territorio,e quando il comune ne viene a conoscenza, ce li segnala, e se ci sono  posti, entrano, in seguito ad un confronto con il servizio centrale", precisa il presidente.

"Al momento dell’ingresso utilizziamo la prassi della sottoscrizione di un contratto di accoglienza: tramite la presenza del mediatore culturale e linguistico, viene spiegato loro cosa vuol dire entrare a far parte di questo percorso, quali sono i loro diritti, ma anche i loro doveri: in questo modo diventa possibile superare tranquillamente le piccole problematiche che possono nascere, come quelle relative ai cattivi comportamenti tra di loro, piuttosto che la non volontà di continuare il percorso per le lungaggini burocratiche".

"Quando non c’è un’équipe ben formata le problematiche diventano poco gestibili, perché bisogna non dimenticare che questi ragazzi hanno un vissuto traumatico alle spalle ed affrontare il presente, spesso, è difficile: vengono alla ricerca dei loro diritti, non sono tutti migranti economici, ma tra di loro c’è chi ha subito una lesione dei propri diritti, a causa delle Guerre sono costretti ad abbandonare il loro Paese; inoltre ci siamo confrontati con gente culturalmente valida oltre che economicamente stabile” aggiunge Ascanio, specificando che è stata utilizzata la formula dei “gruppi appartamento”, attraverso la quale i ragazzi si autogestiscono quasi completamente. 

Hassane Maamri, mediatore culturale del progetto, precisa come sia data particolare rilevanza alle diversità culturali, religiose e personali. 

“Dentro lo Sprar ci sono musulmani sciiti e sunniti, ma anche cristiani, coopti e cerchiamo al massimo di venire incontro, di capire cosa possa servire per farli sentire vicini alle loro usanze. Non è solo un modello di accoglienza, perché sta diventando un modello di ospitalità e anche di inserimento nel tessuto sociale, visto che coinvolgiamo i nostri beneficiari in tutto quello che succede a Caltagirone. Facciamo rete con le associazioni culturali del posto per avere la possibilità di inserire i ragazzi nei mini-progetti, in attività ricreative e così via”.

Il Presidente racconta ancora che i ragazzi sono stati aiutati anche nell’inserimento abitativo. “Lo Sprar si interessa di solito anche del 'progetto di uscita' e poiché la possibilità lavorativa rimane scarsa (per tutti), ci sono ragazzi che abbiamo aiutato anche nell’inserimento abitativo (oltre che in quello lavorativo). Non è semplice vincere la ritrosia degli italiani nell’affittare la casa a questi ragazzi: abbiamo fatto ricerca insieme a loro, mediato con il proprietario e regolarizzato i contratti; ci siamo occupati anche di sistemare l’alloggio dal punto di vista dell’arredo per chi decide di rimanere qui. Per chi va via, cerchiamo di seguirli comunque, usufruendo della rete”. E sul “progetto d’uscita”, quello che segue immediatamente al termine della permanenza negli Sprar, Hassan aggiunge che bisogna stimolare il beneficiario ad essere autonomo e “camminare con le proprie gambe”, ricordando, tra i corsi di formazione frequentati dai ragazzi, quelli con l’accademia pizzaiola e l’Ipsia di Caltagirone.  

Anche a Vizzini e a Licodia Eubea sono presenti dei centri Sprar ed “Isis” (finanziato quest’ultimo dai fondi FER). 
Presso quello di Vizzini sono presenti, seppur in uscita, 15 persone, tra donne e bambini, mentre in quello di Licodia Eubea (ampliamento di Vizzini), vivono 15 uomini, soprattutto della Somalia e del Pakistan. 

Anche in queste strutture di secondo livello (rispetto al Cara, che si occupa essenzialmente dell’accoglienza e dell’iter burocratico), vengono realizzati numerosi corsi di formazione, di alfabetizzazione, e periodi di tirocinio in aziende private così come nelle pubbliche amministrazioni (ad esempio nel verde pubblico). A settembre comincia la fase “modulo 2”: riprenderanno il percorso nuovi beneficiari, segnalati dal servizio centrale o presenti sul territorio. 

Tutte le strutture visitate sono dotate di spazi adeguati per le attività che si devono svolgere: cucina in comune, camere doppie, bagno in condivisione. Ai ragazzi viene consegnata giornalmente un “pocket money”, considerato che gli viene fornito tutto (cibo, vestiario).  I beneficiari, così come raccontano Rocco Sciacca e Chiara Costantino, responsabili di Licodia Eubea e Vizzini, vanno d’accordo tra di loro, a parte i primi momenti, e si instaura tra di loro e gli operatori/educatori un rapporto di reciproca comprensione, anche se le problematiche rimangono quelle legate ai tempi di riconoscimento dello status di rifugiato e quelle del post-accoglienza (ricerca di un lavoro e di una adeguata sistemazione). 

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