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Martedì, 19 Marzo 2024
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Covid, quando finirà davvero: le previsioni

Il peggio è alle spalle. Ma no, non è finita. Gli esperti dell’International science council (Isc), organizzazione che riunisce oltre 200 associazioni scientifiche internazionali, in un nuovo report raccontano come la pandemia iniziata a cavallo tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 a Wuhan, e da lì diffusasi in tutto il mondo, potrebbe durare ancora a lungo

Sì, il peggio è alle spalle. Ma no, non è finita con il Covid. Gli esperti dell’International science council (Isc), organizzazione che riunisce oltre 200 associazioni scientifiche internazionali, in un nuovo report suggeriscono che la pandemia iniziata a cavallo tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 a Wuhan, e da lì diffusasi in tutto il mondo, potrebbe durare altri 5 anni. Ma l'evoluzione della crisi globale dipenderà da più fattori. In primis, da noi.

Il tasso di vaccinati nel mondo, al momento circa il 60 per cento, è una prima importante solida certezza da cui partire. Gli esperti delineano, in sintesi, tre possibili scenari pandemici da qui al 2027. Le incognite sono numerose: la diffusione delle vaccinazioni (che riducono in maniera più che sensibile il rischio di ricovero, ma non riducono in maniera decisiva la circolazione del virus nelle sue nuove varianti) nei Paesi più poveri, ma anche i conflitti internazionali e la poca sinergia internazionale nell'affrontare le criticità legate alla pandemia.

I governi "non devono fingere che la crisi sia finita solo perché la mortalità si è ridotta: per molti cittadini ci saranno ancora molti anni di difficoltà e sfide", avverte il documento dell’International science council.

I tre scenari

Primo scenario: è quello definibile come "più ottimistico". Ipotizza che nei prossimi anni la percentuale di persone completamente vaccinate passi dal 60% a oltre l'80%. Numeri alla mano, altri 2 miliardi di vaccinati. In tal modo sarebbe ridotto il rischio di nuove varianti. Il coronavirus non scomparirebbe, ma diventerebbe più gestibile, a livello di salute pubblica, economico, sociale. Non è lo scenario più probabile.

Secondo scenario: è il più probabile, e prevede un tasso di vaccinazione a livello globale sotto il 70%. Il Covid diventa così endemico, con picchi stagionali, concentrati nella stagione fredda, che mettono in difficoltà le strutture sanitarie non ovunque ma in vari Paesi. Ci sarebbe bisogno di "vaccini aggiornati e l'uso di farmaci antivirali". Nei prossimi anni, entro il 2027 si avrebbe così una "esacerbazione delle disuguaglianze globali" e gli stessi obiettivi di sviluppo sostenibile prefissati dalle Nazioni Unite slitterebbero di un decennio. Il 70% di vaccinati nel mondo è una previsione realistica perché se è vero che il "vecchio continente" nel quale viviamo ha raggiunto il 73% di abitanti totalmente immunizzati (con l'Italia quasi all'85%); gli Usa sono solo al 66% e altrove va molto peggio. In Africa, ad esempio, solo due persone su dieci sono vaccinate.

"Anche se la fase acuta della pandemia sta volgendo al termine in quei Paesi con alti tassi di vaccinazione, i rischi rimarranno elevati per quelli che non hanno accesso a un vaccino efficace", si legge dal rapporto. "Potrebbero ancora emergere nuove varianti e la vigilanza, il vaccino e lo sviluppo terapeutico rimangono essenziali. I governi devono riconoscere che la miriade di problematiche legate alla pandemia non sarà risolta rapidamente e non devono fingere che la crisi sia finita solo perché la mortalità è ridotta".

E poi c'è il terzo scenario, pessimistico, ricco di ombre. Gli esperti ipotizzano in tal senso un aumenti di nazionalismi e populismi (che ridurrebbe l'adozione dei vaccini) e una crescita delle tensioni geopolitiche. Se il tasso di vaccinazione globale si attesterà intorno al 60% o poco più, e se i Paesi a basso reddito avranno per anni e anni un accesso limitato a vaccini e antivirali, la circolazione del Sars-Cov-2 sarebbe in pratica fuori controllo, con ciclichi maxi-focolai in varie parti del mondo.

Lo studio sottolinea anche un aspetto mai abbastanza trattati: il pesante impatto del Covid sulla salute mentale delle persone: Un recente studio condotto in oltre 200 Paesi ha dimostrato come il Covid abbia aggiunto 53,2 milioni di casi di depressione e 76,2 milioni di sindromi ansiose. "Non dobbiamo avere una visione ristretta della pandemia o minimizzare gli impatti della pandemia oltre quelli sanitari altrimenti le ineguaglianze cresceranno e le conseguenze saranno avvertite in ogni società e in ogni Paese", dice Peter Gluckman, presidente dell’International science council.

"La pandemia ha dimostrato il valore della cooperazione scientifica internazionale, anche di fronte ai rischi ambientali e alle tensioni geopolitiche", ragiona Mami Mizutori, segretario generale delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di catastrofi. "Dobbiamo rinnovare gli sforzi per costruire un sistema multilaterale che affronti le disuguaglianze mentre ci si prepara alla prossima crisi. Che si tratti di un'altra pandemia, cambiamento climatico o guerra, abbiamo la possibilità di imparare dagli ultimi due anni. In caso contrario, gli obiettivi di sviluppo sostenibile ci sfuggiranno di mano".

Fonte: Today.it

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