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Imprese pronte a ripartire, Biriaco: "Servono progetti pronti e lista delle priorità"

Il presidente di Confindustria Catania, intervistato da CataniaToday, chiarisce alcuni aspetti legati all'utilizzo delle risorse del recovery fund: "Le aziende hanno bisogno di accesso al credito, logistica efficiente e snellimento burocratico”

Il comparto industriale catanese è pronto a ripartire. Anche se non siamo totalmente usciti dall'emergenza poiché in gran parte tutto è legato al piano vaccinale, è necessario però stabilire da dove partire, e soprattutto, verso quale direzione. A chiarire questi aspetti a CataniaToday è Antonello Biriaco, presidente di Confindustria Catania. 

"La nostra economia è a doppia velocità, questo si è reso evidente con la crisi covid, laddove il manifatturiero ha tenuto molto bene, perché le grandi aziende e le multinazionali non sono state particolarmente colpite e anzi hanno incrementato - spiega Biriaco -Ne ha risentito tanto tutto il settore delle Pmi che lavorano con il territorio. Loro hanno avuto crisi di liquidità e si sono dovute indebitare. Quello degli eventi è stato, insieme a horeca e turismo, tra i più colpiti e ne risentirà ancora in futuro. E lo dico anche da vicepresidente nazionale di Assoeventi. Anche il turismo riprenderà con molta meno attenzione. Il nostro comparto prettamente industriale, oggi gode anche della avvio delle zone economiche speciali che sta dando una mano agli imprenditori, già dal 1° aprile infatti gli investimenti e il credito d'imposta possono essere inseriti nel bilancio 2021".

Le criticità di partenza: il capitale umano

"Ci sono tante realtà anche qui, ma trovano barriere che impediscono la realizzazione di processi di green economy, la digitalizzazione, la banda larga. Ci fanno partire con un motore al 50% mentre altre realtà hanno un motore già rodato. Noi al sud siamo purtroppo indietro”. Torna naturalmente la questione sempre all'ordine del giorno: lo snellimento della burocrazia. “Non si tratta di un caso specifico – spiega Biriaco – è una questione di impostazione generale, che crea lacci e laccioli che alla fine frenano i processi produttivi. Non colpevolizzando la pubblica amministrazione, però bisogna migliorare veramente. Altro capitolo importante è il capitale umano. La Sicilia ha un alto tasso di abbandono degli studi tra i 18 e 25 anni e molti vanno via. Per inquadrare il fenomeno, in 10 anni abbiamo perso 50 mila laureati sotto i 35 anni. Questi sono dati impietosi. Con l'università riusciamo a formare dei giovani preparati che non vengono, per cosi dire, 'assorbiti' dal territorio. Ma qualcosa manca nella sinergia tra sistema produttivo e sistema universitario. Constatiamo però che persiste uno scollamento tra questi due sistemi, oggi le aziende richiedono delle figure professionali che sono realmente settoriali, ci sarebbe da migliorare anche l'offerta formativa nella formazione professionale. Non stiamo parlando di scuole professionali per parrucchieri, che naturalmente assolvono a una funzione diversa. Il nostro comparto ricerca figure che siano aderenti al mercato. I nostri associati cercano competenze che, mediamente, i percettori del reddito di cittadinanza non hanno. Questa frattura – conclude – deve essere sanata”.

Infrastrutture e utilizzo dei fondi

Il rischio che le risorse del recovery fund vengano spese male o sottoutilizzate, è una costante soprattutto in Sicilia, dove la storia dell'impiego dei fondi europei non brilla certo per efficienza e visione politica: “Se riusciamo a fare in fretta possiamo ridurre questo rischio, ma servono una lista delle priorità e i progetti pronti. Noi abbiamo delle priorità infrastrutturali da risolvere, che non possono più attendere. Per quel che riguarda il nostro territorio abbiamo sempre fatto emergere la carenza delle infrastrutture ferroviarie, stradali e portuali. Le infrastrutture sono quelle che ci tengono lontani dal nord più produttivo. E molto più semplice fare arrivare con i treni o le navi un semirimorchio in Germania, da Vicenza, che direttamente da Catania”.

Ma lo scenario si allarga poiché, l'internazionalizzazione nelle strategie di sviluppo delle imprese, in particolare per quelle che non sono solamente legate al commercio on-line, dovrebbe recuperare la dimensione della Sicilia come centro degli scambi nel Mediterraneo. “Questo consentirebbe a tutti noi di fare più in fretta: qualunque impresa manifatturiera troverebbe un sistema integrato di porti, strade e ferrovie che la avvicinano a clienti e fornitori. Le risorse del recovery fund devono servire a questo", commenta.

Green economy e gestione rifiuti

“Noi in Sicilia siamo sicuramente il fanalino di coda per implementazione della gestione rifiuti e delle politiche green. Il sistema pubblico e privato possono andare d'accordo e contribuire entrambi, alla gestione del sistema della raccolta rifiuti. Anzi i privati possono fungere da volano e dobbiamo evitare che  l'attuazione della green economy si risolva in qualche pannello solare. Bisogna intervenire perché non possiamo mandare i rifiuti all'estero per lo smaltimento. Questa cosa, oltre ad avere un impatto sull'ambiente, si ripercuote anche sui costi sostenuti dalle Imprese. Bisogna invece pensare i rifiuti come una risorsa e far nascere nuovi centri di riciclo, potrebbero affacciarsi sul mercato anche giovani aziende in questi nuovi cicli produttivi per la lavorazione del rifiuto. Ci sono già, e ci sono state infatti Start Up che hanno lanciato attività in questo senso, però ancora una volta sono frenate dal carico burocratico. Bisogna quindi completare il ciclo rendendo i rifiuti materia prima da riutilizzare”.

Attrarre gli investimenti

Altro capitolo fondamentale è la questione degli investimenti, o meglio la capacità di attrarli: anche in questo caso oltre al necessario intervento di semplificazione del quadro normativo nazionale, è doveroso chiedersi se le nostre imprese e i nostri imprenditori posseggono una loro autonoma capacità di attrazione degli investimenti: “La prima necessità intanto è quella di non fare andare via gli investitori territoriali, per questo bisogna intervenire sull'accesso al credito e sulla pressione fiscale. Già fare restare le nostre aziende a investire qui sarebbe tanto. Questo deve essere un obiettivo – spiega ancora - perché negli ultimi 10 anni diverse aziende hanno dovuto de-localizzare gli investimenti. Per attrarre investimenti per prima cosa deve essere facile arrivare da noi, poi bisogna avere aree industriali funzionali e ben servite. E le nostre non sono in condizioni adeguate, si è fatto qualche passo avanti qui a Catania, ma bisogna lavorare ancora. L'opportunità delle Zone Economiche Speciali risponde anche a tutto questo, ma non deve essere sprecata. Le aziende hanno bisogno di accesso al credito, logistica efficiente e snellimento burocratico”.

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