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Martedì, 26 Settembre 2023
On the road

On the road

A cura di Fabio Rao

On the road Vizzini

Nel Centenario del grande Verista etneo, visitiamo i luoghi dello scrittore

Vizzini ha una tradizione lunghissima per celebrare la vita e le opere del Verga, che inizia a fine Anni '70 con il Teatro di Reviviscenza. Prof Carlino: “In cambio della roba c'è un patto con il diavolo della modernità”

Le origini di Verga partono da Vizzini. La corrente letteraria del Verismo italiano nasce... fra i contadini di Vizzini. Nell'arte di Verga, scriveva il critico letterario Giuseppe Petronio, viene ritratta la società “nella sua nudità”, e all'inizio del '900, rivendica nella propria opera, “il merito di aver fatto quanto era possibile fare, con l'arma dell'arte, a favore degli umili”. Anche se i manuali studiati a scuola, di Letteratura o di raccolte d'antologia, collocano lo scrittore etneo Giovanni Verga in una culla catanese nel 1840, le sue origini e i suoi natali partono dal comune di Vizzini della città metropolitana di Catania, un incantevole centro-crocevia di antiche culture e tradizioni nobiliari, incastonato fra la zona sud-orientale della provincia etnea, fra l'altopiano collinare dei Monti Iblei e al confine provinciale dei territori di Ragusa e Siracusa. Tutto, in questo territorio ancòra integro nella sua bellezza, parla di Giovanni Verga e tutto qui sembra riportarci all'opera-capolavoro dello scrittore verista, il Mastro-don Gesualdo. Tutto ciò, nell'anno del Centenario della morte, avvenuta a Catania nel gennaio 1922.

La Vizzini di Verga nel Centenario

Pure Vizzini alla fine del 1.600 subì le devastanti conseguenze dell'infausto terremoto che rase al suolo molti altri centri della Val di Noto: tuttavia, nonostante il terribile evento, il comune vizzinese, così come altri centri colpiti, risorse e la ricostruzione fu un evento di grande rilievo sul piano artistico e culturale. Ne sono testimonianza i numerosi monumenti religiosi e civili sorti in quel periodo e di pregevole fattura.

A farci da “cicerone” virtuale d'eccezione, fra le vie e i palazzi artistici del comune in chiave “verghiana”, attraverso un “tour-guidato”, è proprio l'assessore al Turismo e ai Beni culturali del Comune, dottor Pietro La Rocca: “Vizzini si muove bene dal punto di vista culturale - spiega -, e si dà da fare nella promozione turistica attraverso le Verghiane, finché è stato possibile nel rispetto dei protocolli Covid, con lo scopo di stimolare l’interesse per la letteratura, le rappresentazioni artistiche e la prosa con particolare riferimento agli autori veristi, con al centro Giovanni Verga, un grande e illustre figlio di questa terra”.

Il Tour fra musei e luoghi del ciclo dei “vinti”. “Vizzini ha una tradizione lunghissima per celebrare la vita e le opere del Verga, che inizia a fine Anni '70 con il Teatro di Reviviscenza - continua l'assessore comunale La Rocca con deleghe al Turismo e spettacolo, Beni culturali, Biblioteca e Musei -. Così l'amministrazione comunale dell'epoca, nella consapevolezza che Vizzini costituisse il paese d'origine che aveva dato i natali al padre del Verismo, propose delle rappresentazioni e performance teatrali rivoluzionarie verghiane, proprio negli stessi luoghi in cui lo scrittore aveva immaginato i fatti raccontati nel romanzo Mastro-don Gesualdo e in molte novelle celebri, quali 'L'amante di Gramigna', con strade, vicoli e piazze vizzinesi adattate a palcoscenico naturale delle emozioni verghiane, col pubblico immerso in questo immaginario artistico-teatrale-letterario”.

Fra l'altro la novella “L'amante di Gramigna”, che fa parte della raccolta “Vita dei campi” del 1880, nella sua prefazione rappresenta un testo di grande rilievo dal punto di vista teorico, in quanto è un “manifesto” del Verismo italiano: sotto forma di lettera, all'amico Salvatore Farina, illustra gli aspetti principali della poetica verista verghiana: la letteratura deve raccontare fatti reali, il linguaggio deve essere spontaneo, l’atteggiamento deve essere “scientifico” e la scrittura deve essere impersonale.

Nascita a Vizzini. “Successivamente al Teatro di reviviscenza, sono andate avanti le manifestazioni verghiane - continua l'assessore al Turismo, componente della Giunta comunale guidata dal sindaco Vito Saverio Cortese -, col nome di Le Verghiane e che si svolgono oramai ogni anno e che celebrano il Verga attraverso la musica, il teatro e la rilettura delle sue opere, maggiori e minori. Questo percorso particolare vizzinese, sicuramente ha tenuto alta l'attenzione e destato interesse dal punto di vista del turismo culturale, del richiamo in particolar modo in àmbito scolastico. Quindi oltre al discorso della nascita di Verga a Vizzini, fatto abbastanza assodato, c'è forse un discorso da fare probabilmente ancora più importante e che riguarda il suo profondissimo legame familiare e letterario con il nostro Comune. Verga infatti immagina lo svolgersi in questi luoghi, delle vicende letterarie forse più note e dall'altissimo valore artistico, di cui lo stesso si è reso autore. A Vizzini pensa e ambienta le vicende del Mastro-don Gesualdo, protagonista del romanzo omonimo del 1889, ambientato in questa parte della Sicilia nella prima metà dell'Ottocento in periodo risorgimentale, ed è come è noto il secondo romanzo del ciclo dei vinti; sempre qui è ambientata la novella di 'Jeli il pastore', della raccolta 'Vita dei campi', con protagonista questo giovane pastore, Jeli, sempre vissuto da solo nei campi e rimasto orfano in tenera età, il quale poi da adulto, roso dalla gelosia per la moglie Mara, durante una festa in una fattoria, accecato dalla collera uccide il rivale in amore Don Alfonso e viene arrestato”.

Luoghi e musei visitabili. Per l'assessore Pietro La Rocca, “spesso da questi luoghi Verga trova ispirazione. Le vicende che racconta qui hanno trovato il giusto posto, perché lo scrittore etneo, qui le immagina traendo spunto, tra l'altro, da fatti realmente accaduti. A Vizzini è presente il vecchio borgo settecentesco di 'Cunziria', noto perché qui fu immaginato il famoso duello rusticano narrato dal Verga, cioè il finale della novella 'Cavalleria Rusticana' col duello tra compare Turiddu e il suo rivale compare Alfio. Dalla novella come è risaputo, è tratta l'opera lirica omonima, del compositore Pietro Mascagni. Ovviamente questi luoghi da noi sono visitabili, come il Palazzo di Bianca Trao, dove si trova il museo dedicato a Verga, ed in particolar modo alla sua produzione fotografica, unico museo al mondo che contenga le sue foto. Quindi diciamo che, senza nulla togliere alla grande tradizione di Catania, la piccola realtà di Vizzini, si difende molto bene”.

Ricordiamo in questo contesto che, nella finzione letteraria verghiana, il palazzo di donna Bianca Trao, poi moglie di mastro don Gesualdo, si trova nel centro storico. Percorsa la scalinata intitolata a Lucio Marineo, in via Santa Maria dei Greci, sorge l'inconfondibile palazzo barocco della famiglia Ventimiglia, citato nel romanzo di Mastro-Don Gesualdo.
Nel prospetto è collocata una lapide marmorea con la scritta:"casa Mastro Don Gesualdo Motta". "Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell'alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville" (Cit. da Mastro-don Gesualdo, parte I, cap I). Qui esiste un palazzo nobiliare settecentesco, con una struttura polimuseale, la “Casa della Memoria e delle Arti”, che ospita la Mostra permanente delle foto di Verga, arricchita con cimeli e raccolte di foto dei set cinematografici dei film ispirati alle opere verghiane.

Le citazioni letterarie nel Centenario. Il 27 gennaio di quest'anno, si celebra il centenario della scomparsa del grande romanziere e scrittore etneo della nostra Letteratura nazionale. Riscopriamo qui, qualche citazione meritevole e che dia lustro al nostro insigne conterraneo, catanese o vizzinese che sia. “Il paesaggio di Vizzini - spiega l'insegnante di Lettere alla “Pizzigoni-Carducci” di Catania, professoressa Giustina Carlino - costituisce lo scenario in cui Verga ha ambientato alcuni dei suoi più significativi lavori: 'Cavalleria rusticana', 'La lupa', ma soprattutto il romanzo 'Mastro-Don Gesualdo', pubblicato in volume nel 1889. Nell'opera, seconda tappa di quel progetto letterario incompiuto conosciuto come 'ciclo dei Vinti', e nel quale rientra anche l'altro capolavoro verghiano, 'I Malavoglia', è narrata, com'è noto, la vicenda dell'ascesa sociale e della caduta di un umile manovale, il Gesualdo del titolo, che pagherà con la solitudine e l'isolamento all'interno della sua stessa famiglia il proprio attaccamento alla 'roba'; con la sua 'roba', fa notare il critico Romano Luperini, autore di numerosi saggi sulla produzione verghiana, Gesualdo ha una relazione di natura esistenziale e non solo economica, in quanto 'mezzo di autorealizzazione e di identità'. Il cancro che lo colpisce nella seconda parte dell'opera 'è l'incarnazione stessa della logica della roba che ha distrutto l'esistenza del protagonista', prosciugandone il mondo degli affetti e trascinandolo in una dimensione desertificata e vuota di senso, perché priva di qualunque riferimento a solidi valori morali”.

La roba. “Tale attaccamento alla roba appare tratto tipico dell'uomo siciliano, come rileva Sebastiano Aglianò nell'interessante saggio intitolato 'La roba' e contenuto nel volume 'Cento Sicilie': 'Il concetto che il siciliano ha della ricchezza è accumulativo, non costruttivo o moltiplicativo. Quanto resta dalle spese assolutamente necessarie della giornata costituisce un fondo che tende sempre ad aumentare per addizione, aggiungendosi risparmi su risparmi. Il processo di arricchimento è lungo e laborioso, e tuttavia tenacissimo; supera idealmente il breve spazio concesso alla vita terrena di un uomo. Si tende con tutte le forze alla sicurezza dell'avvenire, ad una posizione di stabilità perpetua, non soggetta alle oscillazioni della fortuna. Per raggiungere questo scopo il siciliano sa anche sottoporsi a innumerevoli privazioni, le più incredibili. Egli conosce poco o non conosce affatto la gioia delle comodità accessorie, delle piccole spese che, pur non essendo essenziali, danno un tono di conforto alla routine giornaliera'. Tale rappresentazione si può utilmente confrontare con quanto scrive Verga nel capitolo IV della Prima parte di 'Mastro-Don Gesualdo': 'Egli invece non aveva sonno. Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba! Ragazzetto... gli sembrava di tornarci ancora, quando portava il gesso dalla fornace di suo padre, a Donferrante! Quante volte l'aveva fatta quella strada di Licodia, dietro gli asinelli che cascavano per via e morivano alle volte sotto il carico! Quanto piangere e chiamar santi e cristiani in aiuto! Mastro Nunzio allora suonava il deprofundis sulla schiena del figliuolo, con la funicella stessa della soma... Erano dieci o dodici tarì che gli cascavano di tasca ogni asino morto al poveruomo! - Carico di famiglia! Santo che gli faceva mangiare i gomiti sin d'allora; Speranza che cominciava a voler marito; la mamma con le febbri, tredici mesi dell'anno!... - Più colpi di funicella che pane! - Poi quando il Mascalise, suo zio, lo condusse seco manovale, a cercar fortuna... Il padre non voleva, perché aveva la sua superbia anche lui, come uno che era stato sempre padrone, alla fornace, e gli cuoceva di vedere il sangue suo al comando altrui. - Ci vollero sette anni prima che gli perdonasse, e fu quando finalmente Gesualdo arrivò a pigliare il primo appalto per conto suo... la fabbrica del Molinazzo... Circa duecento salme di gesso che andarono via dalla fornace al prezzo che volle mastro Nunzio... e la dote di Speranza anche, perché la ragazza non poteva più stare in casa... - E le dispute allorché cominciò a speculare sulla campagna!... - Mastro Nunzio non voleva saperne... Diceva che non era il mestiere in cui erano nati. Fa l'arte che sai! - Ma poi, quando il figliuolo lo condusse a veder le terre che aveva comprato, lì proprio, alla Canziria, non finiva di misurarle in lungo e in largo, povero vecchio, a gran passi, come avesse nelle gambe la canna dell'agrimensore... […] Morì raccomandando a tutti Santo, che era stato sempre il suo prediletto e Speranza carica di famiglia com'era stata lei... - un figliuolo ogni anno... - Tutti sulle spalle di Gesualdo, giacché lui guadagnava per tutti. Ne aveva guadagnati dei denari! Ne aveva fatta della roba! Ne aveva passate delle giornate dure e delle notti senza chiuder occhio! [...] Sempre in moto, sempre affaticato, sempre in piedi, di qua e di là, al vento, al sole, alla pioggia; colla testa grave di pensieri, il cuore grosso d'inquietudini, le ossa rotte di stanchezza; dormendo due ore quando capitava, come capitava, in un cantuccio della stalla, dietro una siepe, nell'aia, coi sassi sotto la schiena; mangiando un pezzo di pane nero e duro dove si trovava, sul basto della mula, all'ombra di un ulivo, lungo il margine di un fosso, nella malaria, in mezzo a un nugolo di zanzare. - Non feste, non domeniche, mai una risata allegra, tutti che volevano da lui qualche cosa, il suo tempo, il suo lavoro, o il suo denaro; mai un'ora come quelle che suo fratello Santo regalavasi in barba sua all'osteria! - trovando a casa poi ogni volta il viso arcigno di Speranza, o le querimonie del cognato, o il piagnucolìo dei ragazzi - le liti fra tutti loro quando gli affari non andavano bene. - Costretto a difendere la sua roba contro tutti, per fare il suo interesse' ”.

Paesaggio vizzinese del “Mastro”. “Particolarmente denso di richiami e suggestioni appare in Mastro Don Gesualdo il paesaggio, quello vizzinese appunto - continua la Prof Carlino -,  della strada per Camemi, della gola del Petrajo, della Canziria, dove si sviluppano le azioni e le riflessioni del protagonista, nonché una serie di incontri, alcuni voluti e programmati, altri del tutto imprevisti e casuali, inessenziali per lo sviluppo dell'intreccio, ma fondamentali per far riemergere l'autore e il suo punto di vista dall'eclissi dell'impersonalità verista. Ciò si nota, ad esempio, ancora una volta in quel capitolo IV della prima parte dell'opera, dove i luoghi reali assumono una forte valenza simbolica, in particolare nell'incontro tra Gesualdo e un personaggio anonimo e avanti negli anni, carico di manipoli”.

“Scrive Verga: '[Gesualdo] Brontolava ancora allontanandosi all'ambio della mula sotto il sole cocente: un sole che spaccava le pietre adesso, e faceva scoppiettare le stoppie quasi s'accendessero. Nel burrone, fra i due monti, sembrava d'entrare in una fornace; e il paese in cima al colle, arrampicato sui precipizi, disseminato fra rupi enormi, minato da caverne che lo lasciavano come sospeso in aria, nerastro, rugginoso, sembrava abbandonato, senza un'ombra, con tutte le finestre spalancate nell'afa, simili a tanti buchi neri, le croci dei campanili vacillanti nel cielo caliginoso. La stessa mula anelava, tutta sudata, nel salire la via erta. Un povero vecchio che s'incontrò, carico di manipoli, sfinito, si mise a borbottare: - O dove andate vossignoria a quest'ora?... Avete tanti denari, e vi date l'anima al diavolo!' ”.

“Il protagonista si imbatte nel vecchio dopo aver attraversato un'arida landa in cui 'domina la sensazione di vuoto: il paese stesso appare precario, come sospeso in aria, poggiato sul nulla. […] All'inferno del paesaggio corrisponde quello di una vita segnata da uno scambio fatale: l'anima, l'interiorità, in cambio della roba. E' questo il 'patto con il diavolo della modernità' (da Romano Luperini, “Giovanni Verga. Saggi (1976-2018)”, Carocci 2019)”.

Il progresso in Verga che “mangia” i suoi figli. “Come osserva sempre il Luperini: 'in Verga si registra una casualità non necessaria, in cui l'incontro, oltre a non costituire un'esperienza reale del personaggio, non contribuisce né al disegno della trama né all'evoluzione psicologica del soggetto, ma serve all'autore per illustrare e commentare la vicenda narrata, facendone intuire il senso implicito e profondo. […]' Gli incontri di Gesualdo 'non lasciano alcuna eco o traccia nell'animo del protagonista. Contengono un messaggio che va oltre la contingenza immediata della vicenda  e della psicologia. L'incontro non conta per sé, ma per ciò che suggerisce o rivela. [...] La rivelazione non è per Gesualdo (che solo alla fine della propria vita si renderà conto dell'inganno che l'ha percorsa), ma per noi che leggiamo',” “e allude 'a una vita ridotta alla serietà inquietante dello sperpero vuoto, allo scialo di triti fatti che coprono un nulla sostanziale, nascondendo dietro l'affanno produttivo il destino della pura ripetizione e del sempre-eguale. Di fronte alla morte la legge degli interessi materiali dimostra la propria nullità' “.

“Altro passaggio suggestivo dello stesso capitolo, in cui il territorio vizzinese, con il suo paesaggio aspro e brullo, ci schiude il mistero della vanità dell'esistenza - continua la docente di Lettere -, è quello ambientato nella Gola del Petrajo, che già nel toponimo 'evoca l'idea della durezza e dell'assenza di vita' ”. “Scrive infatti il Verga: 'E se ne andò sotto il gran sole, tirandosi dietro la mula stanca. Pareva di soffocare in quella gola del Petraio. Le rupi brulle sembravano arroventate. Non un filo di ombra, non un filo di verde, colline su colline, accavallate, nude, arsicce, sassose, sparse di olivi rari e magri, di fichidindia polverosi, la pianura sotto Budarturo come una landa bruciata dal sole, i monti foschi nella caligine, in fondo. Dei corvi si levarono gracchiando da una carogna che appestava il fossato; delle ventate di scirocco bruciavano il viso e mozzavano il respiro; una sete da impazzire, il sole che gli picchiava sulla testa come fosse il martellare dei suoi uomini che lavoravano alla strada del Camemi. Allorché vi giunse invece li trovò tutti quanti sdraiati bocconi nel fossato, di qua e di là, col viso coperto di mosche, e le braccia stese. Un vecchio soltanto spezzava dei sassi, seduto per terra sotto un ombrellaccio, col petto nudo color di rame, sparso di peli bianchi, le braccia scarne, gli stinchi bianchi di polvere, come il viso che pareva una maschera, gli occhi soli che ardevano in quel polverìo. […] Vedendolo con quella faccia accesa e riarsa, bianca di polvere soltanto nel cavo degli occhi e sui capelli; degli occhi come quelli che da' la febbre, e le labbra sottili e pallide; nessuno ardiva rispondergli. Il martellare riprese in coro nell'ampia vallata silenziosa, nel polverìo che si levava sulle carni abbronzate, sui cenci svolazzanti, insieme a un ansare secco che accompagnava ogni colpo. I corvi ripassarono gracidando, nel cielo implacabile. Il vecchio allora alzò il viso impolverato a guardarli, con gli occhi infuocati, quasi sapesse cosa volevano e li aspettasse' ”.

“Ancora un incontro con un personaggio anonimo e caratterizzato dalla totale assenza di dialogo, un incontro ininfluente per l'intreccio del romanzo, ma rivelatore per i lettori: 'la corsa di Gesualdo per la roba  e contro il tempo è in realtà una corsa verso il nulla e la morte'”.

Info utili. Per chi volesse visitare e ricevere informazioni utili su questi luoghi verghiani a Vizzini, in un periodo contrassegnato dall'emergenza Covid-19, ecco che l'assessore La Rocca mette a disposizione degli utenti il seguente indirizzo email di riferimento: turismo@comune.vizzini.ct.it .

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