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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Estorsione e mafia, l'ergastolano "Sansuneddu” impartiva disposizioni dal carcere

Giovanni Rapisarda - pregiudicato appartenente alla famiglia di Cosa nostra etnea “Santapaola Ercolano” e detenuto all’ergastolo per un omicidio del noto imprenditore catanese Scaringi, commesso nel 1993 - impartiva gli ordini attraverso i suoi figli e la moglie

I carabinieri del comando provinciale di Catania hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catania, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 4 persone gravemente indiziate del reato di concorso in estorsione aggravata anche dal “metodo mafioso”. L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia etnea e condotta dai carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Paternò da febbraio a maggio di quest’anno, ha consentito di riscontrare anche con attività tecnica una estorsione aggravata condotta mediante minacce derivanti dall’appartenenza al clan mafioso di Giovanni Rapisarda 64enne detto “Sansuneddu” - pregiudicato appartenente alla famiglia di Cosa nostra etnea “Santapaola Ercolano” e detenuto all’ergastolo per un omicidio del noto imprenditore catanese Scaringi, commesso nel 1993 - che sarebbe stata operata attraverso i suoi figli Giuseppe, con precedenti per droga, Valerio nonché sua moglie Santa Carmela Corso.

Giovanni Rapisarda sebbene detenuto, avrebbe impartito le disposizioni dal carcere attraverso i colloqui con i suoi familiari o lettere dal tono intimidatorio indirizzate alla vittima, gestore di una ditta di Belpasso operante nel settore dell’estrazione e lavorazione di pietra lavica al quale veniva richiesta, sin dal 2012, una cifra complessiva di 1.700.000 euro. Le indagini prendevano le mosse da numerosi servizi di osservazione svolte dai carabinieri i quali notavano diverse e frequenti visite dei fratelli Rapisarda nella sede della ditta. La successiva attività investigativa, svolta anche attraverso l’installazione di telecamere all’interno dell’azienda, permetteva di ritenere che l’ergastolano, sebbene recluso, richiedesse attraverso i figli e la moglie il versamento di ingenti somme di denaro sin dall’anno 2012 da effettuarsi mediante pagamenti in contante, assegni, cambiali e acquisto di mezzi d’opera (nello specifico, l’acquisto di un escavatore).

La vittima, a seguito dell’acquisizione di un ramo dell’azienda già di proprietà di altri componenti della famiglia Rapisarda, rispettivamente fratelli e sorelle di Giovanni, pur avendo già consegnato 700.000 euro negli ultimi 10 anni per crediti illecitamente vantati di 1.000.000 di euro, riceveva un’ulteriore richiesta estorsiva di 700.000 euro, dilazionati in 5 anni attraverso il pagamento di una somma tra i 1.500 e 3.000 euro settimanali o, in alternativa, la cessione della ditta. I carabinieri di Paternò, per impedire che il reato si potesse portare a conseguenze ulteriori, hanno arrestato nei giorni scorsi Giuseppe Rapisarda e la madre Santa Corso i quali, dopo essersi recati presso la sede della ditta di Belpasso, avevano ricevuto dalla vittima una busta contenente 2.000 euro, quale rata della richiesta estorsiva.

Nel corso di uno degli ultimi incontri, Giuseppe Rapisarda avrebbe palesato esplicitamente la richiesta, specificando che quei soldi gli erano dovuti in quanto la cava della vittima (“(..) era la nostra cosa, (..), perché oramai non è che è un giorno, dodici anni, tredici anni e dobbiamo chiudere sta partita…vedi tu cosa vuoi fare!”) proferendo altresì nei confronti della vittima frasi del seguente tenore, “(..) che i o te lo avevo detto..mio padre il suo piacere è questo, perché qui era la cosa sua". Gli arrestati sono tuttora associati presso le case circondariali di Grosseto e Catania Bicocca.

Nel video, comandante della conpagnia dei carabinieri di Paternó Gianmauro Cipolletta

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