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Cronaca

Giorno della memoria: il ricordo del soldato Salvatore Pappalardo, prigioniero dei tedeschi

Dopo l'armistizio di Cassibile dell'8 settembre del 1943, il soldato Salvatore Pappalardo venne catturato dai tedeschi a Patrasso, in Grecia perchè si rifiutà di combattere per la Repubblica di Salò, guidata da Mussolini. Fu poi internato in Polonia e trasferito in vari stalag in Germania. Il 15 aprile del '45 venne liberato dagli alleati e faticosamente riuscì a rientrare nella sua Santa Maria di Licodia

C'è anche il nome dell'agricoltore Salvatore Pappalardo, di Santa Maria di Licodia, nella lunga lista degli italiani internati nei campi di prigionia tedeschi durante la seconda guerra mondiale. E' stato ricordato oggi, durante una cerimonia che si è svolta al liceo classico Mario Cutelli in memoria del professor Carmelo Salanitro, insieme ad Achille Caltabiano, Salvatore Incorpora e Francesco Raineri. Tra i parenti che hanno ricevuto una medaglia commemorativa c'era anche il nipote Fabio Distefano. Quando da bambino chiese al nonno di raccontargli qualcosa sulla sua esperienza in guerra, Salvatore Pappalardo scoppiò a piangere, ammutolendosi. "Non parlava molto volentieri di come fosse stata la sua esperienza nei campi di detenzione tedeschi ed in guerra - spiega Francesco - ma ricordo benissimo che, dopo essersi ripreso, disse in dialetto: '...i carusi ana sapiri' ".

L'impegno in guerra sul fronte greco-albanese

Partì insieme al 4' reggimento fanteria Piemonte il 1 dicembre del 40 da Brindisi, diretto a Tirana, in Albania. Per i 3 anni successivi dovette combattere sul fronte greco-albanese. In seguito all'armistizio di Cassibile dell'8 settembre del 1943, venne catturato dai tedeschi a Patrasso. Successivamente fu internato in Polonia e trasferito in vari stalag in Germania. Il 14 aprile del '45 venne liberato dagli alleati e nei mesi successivi riuscì a rientrare in Italia, fortemente provato da quella esperienza.

Si rifiutò di combattere per la Repubblica di Salò

Fabio Distefano non ha avuto la fortuna di passare molto tempo insieme al nonno Salvatore, morto ad 82anni nella sua Licodia, quando lui era ancora un bambino. Tutto quello che sa oggi su di lui è frutto di ricerche fatte su materiale d'archivio. Non era ebreo e non fu vittima dell'antisemitismo. Durante il secondo conflitto mondiale, aveva avuto assegnata la matricola del distretto militare di Catania numero 5567. Conobbe molto bene la follia del nazifascismo, portando sulla sua pelle e dentro di se le cicatrici della detenzione nel campo di concentramento tedesco di Halle, succursale del più grande campo di Buchenwalde, oltre che in altre strutture. L'armistizio di Cassibile sancì infatti il disimpegno dell'Italia dall'alleanza con la Germania nazista di Adolf Hitler e cambiò radicalmente le carte in tavola per i nostri soldati, mandati allo sbando nei fronti più esposti. Chi si rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò, guidata da Mussolini dal 1943 al 1945, finì nella spirale della detenzione, sotto la sigla di "Imi" (internato militare italiano).

Il difficile rientro in Sicilia

"Mio nonno fece parte di questi 650 mila soldati - continua il nipote Fabio - che accettarono la prigionia, rifiutandosi di combattere ancora per uno Stato che non riconosceva. Dopo il 14 aprile del 45 fu trattenuto dagli alleati per un breve periodo e rientrò in Italia il 16 luglio, passando per il centro alloggio di Verona, istituito dalla croce rossa italiana. Era una sorta di luogo di ritrovo per tutti i militari che rientrarono nella nostra nazione, ne erano sorti svariati sul territorio. Probabilmente riuscì a tornare sull'Isola con mezzi di fortuna, percorrendo a piedi chilometri su chilometri. Alla fine di questa terribile esperienza riuscì a ricongiungersi con mia nonna, vivendo serenamente il resto della sua vita e mettendo al mondo tre figlie. Una di queste è mia madre".

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