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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

I killer catanesi "in trasferta": due morti innocenti per un caffé nel momento sbagliato

Dalle dichiarazioni del collaboratore Squillaci emerge la verità su un triplice omicidio avvenuto a Lentini nel 1991 dove morirono due ventenni estranei alla mafia

Entrare in un bar per prendere un caffé e finire uccisi sotto i colpi dei killer di mafia catanesi. Succedeva anche questo negli anni Novanta e a farne le spese, in diverse occasioni, sono state vittime innocenti. Persone che non c'entravano nulla e che avevano la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e in compagnia dei bersagli dei carnefici di Cosa Nostra.

Il raggio d'azione della mafia etnea, come testimoniato dai racconti del collaboratore Francesco Squillaci che hanno permesso di fare luce su ben 23 omicidi, si estendeva anche ai territori limitrofi come quello di Lentini per stringere accordi, sancire alleanze e controllare le attività di spaccio.

Accordi mortali per due giovani innocenti trucidati da un commando etneo il 10 aprile del 1991 proprio in un bar della cittadina siracusana che si trova alle porte di Catania. La strage di Lentini del bar Golden ha sconvolto un'intera comunità ai tempi: a morire sotto il piombo dei killer furono Cirino Catalano, di 23 anni, Salvatore Motta, di 25 anni, e Salvatore Sambasile, di 27 anni. Quest'ultimo era il bersaglio del gruppo di fuoco composto dai catanesi Nunzio Cocuzza, Francesco Maccarrone e coadiuvato da Giuseppe Squillaci e Sebastiano Nardo e da diversi altri lentinesi.

La sparatoria dentro il bar

Erano le 14 di un normale pomeriggio di primavera del 1991 quando un'Alfa 33 color verde bottiglia, rubata qualche tempo prima a Lentini, si avvicina al bar Golden dove all'interno vi erano Salvatore Sambasile e Cirino Catalano. Quest'ultimo aiutava il padre a gestire un negozio di vestiti, era benvoluto da tutti e nonostante gli affari non andassero ormai benissimo si dava da fare onestamente. Sambasile, che conosceva Catalano, gli paga il caffé. Un gesto normalissimo in qualsiasi bar della Sicilia, una cortesia tra compaesani e tra coetanei. Nel frattempo nel locale era entrato Salvatore Motta, un altro giovane che lavorava nell'azienda edile del padre.

Dall'Alfa 33 verde bottiglia scendono i killer catanesi convinti di dover uccidere Sambasile e altre due persone a lui "vicine" che ultimamente avevano alzato troppo la cresta. Così iniziano a fare fuoco subito contro Sambasile, la vittima designata. Un'esecuzione con tre colpi mortali e ravvicinati. Cirino Catalano cerca di fuggire: appena varca la soglia d'uscita del locale, ferito, viene raggiunto da uno dei killer che lo finisce con un colpo alla testa. Un'esecuzione mafiosa in piena regola. Così muoiono i boss di mafia, non ragazzi ventenni innocenti.

Mentre Motta, seppur ferito gravemente, riesce a uscire fuori dal locale e a raggiungere piazza Nazionale dove sarà soccorso da un giovane medico che abitava nelle vicinanze e trasportato in ospedale dove morirà poco dopo. Il gruppo di fuoco catanese è stato rapido. Talmente veloce che il cassiere del bar, mentre contava il resto e con la testa abbassata, aveva scambiato i colpi d'arma fuoco per dei fuochi d'artificio al punto da dire: "Carusi smittitila cu sti bummitti".

Non erano bombette ma pallettoni. Gli assassini avevano utilizzato fucili e pistole e l'uomo che era stato visto sparare dentro il bar era alto circa 1 metro e 70 ed era entrato senza il volto coperto. Uscendo poi dal locale i killer avevano puntato le armi contro i balconi delle abitazioni limitrofe: in tantissimi si erano affacciati dopo aver sentito gli spari e i lamenti dei feriti.

Un triplice omicidio irrisolto

Dopo 29 anni si sono finalmente chiarite le dinamiche dietro il triplice omidicio. Sangue innocente è stato versato e proprio a Cirino Catalano il Comune di Lentini aveva dedicato una targa come vittima innocente di mafia. E' emerso anche che Salvatore Motta non c'entrava nulla, non era il bersaglio del commando.

Proprio quest'ultimo prima di morire, in ambulanza, aveva pronunciato una frase emblematica: "Possibile che uno non si può prendere nemmeno un caffé". Diverse e concordanti sono state le testimonianze dei collaboratori di giustizia Francesco Squillaci, Vincenzo Piazza (appartenente al clan lentinese dei Nardo), Ferdinando Maccarrone nell'inquadrare mandanti, motivazioni e modalità degli omicidi.

Indagati sono Nunzio Cocuzza e Francesco Maccarrone, che sarebbero gli esecutori materiali, Sebastiano Nardo e Giuseppe Squillaci. Il tutto nasce su volontà del clan Nardo di Lentini, alleato con Cosa Nostra catanese. Il reggente lentinese chiede proprio a Giuseppe Squillaci di intercedere con i vertici etnei per organizzare una spedizione ed eliminare i pericolosi concorrenti sul territorio, promettendo di ricambiare il favore.

L'ok arriva da Aldo Ercolano che invia il gruppo di fuoco con Cocuzza e Maccarrone per individuare la vittima e le sue abitudini. Sambasile, che aveva precedenti per droga, era il cognato di Francesco Corso detto "u masculuni"  ucciso nel 1989 proprio dal clan Nardo. Nonostante ciò Sambasile continuava a trafficare droga ed era stato fermato, poco prima dell'omicidio, dalle forze dell'ordine che lo avevano trovato in possesso di diverse munizioni.

La tragica casualità

Sambasile, la vittima designata, di solito si incontrava con altri due "suoi" uomini nel bar Golden di Lentini: Ercole Modica e Agatino Amato. I catanesi quindi partono per eliminare tre persone che davano fastidio ai sodali lentinesi ed effettivamente giunti sul posto trovano tre persone dentro il bar e scambiano, probabilmente, Catalano e Motta per gli "amici" di Sambasile non conoscendone le fattezze. Inoltre lo stesso Motta era imparentato, pur senza avere ruoli criminali, con Giuseppe Furnò del clan Nardo, circostanza che aveva creato tensione tra lentinesi e catanesi dopo che si erano accorti del tragico errore e dell'omicidio del giovane che non era un bersaglio e non era coinvolto in affari illeciti.

Ma per Cocuzza non era un problema colpire persone inermi: "Viri ca iu - diceva a chi gli aveva mosso appunti sull'azione di fuoco - quannu sparu, sparu...ca con me non se ne va nessuno". Così per un caffé e un tragica causalità sono morti due ragazzi innocenti.

A oltraggiare la memoria di Cirino Catalano, quattro anni fa, erano stati dei ragazzini che avevano ricoperto di escrementi la targa che gli aveva dedicato l'amministrazione comunale, con altre vittime innocenti della mafia. L'ennesimo affronto a una giovane vita spezzata per uno scambio di persona.

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