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Mercoledì, 17 Aprile 2024
Cronaca

Operazione antimafia contro il clan Laudani, 109 arresti: 3 donne al vertice

Le accuse vanno dall'associazione di tipo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi ed altri reati

Maxioperazione antimafia dei carabinieri di Catania nei confronti dello storico clan Laudani: militari dell'Arma hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 109 indagati, di cui 106 in carcere e 3 posti agli arresti domiciliari per ragioni di salute.

VIDEO- LE INTERCETTAZIONI

VIDEO-DONNE AL VERTICE DELLA COSCA

Il provvedimento è stato eseguito da oltre cinquecento carabinieri del comando provinciale di Catania, supportati dai reparti specializzati, su tutto il territorio nazionale ed all’estero (Germania e Olanda), ed ha riguardato dirigenti ed affiliati al clan “Laudani” attivo nel capoluogo e con ramificazioni in tutta la provincia etnea, responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, traffico di stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi ed altri reati.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

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Il clanLaudani”, detto deiMussi i' ficurinia”, è certamente una delle più ramificate e pericolose organizzazioni criminali operanti nel catanese, diretto dai componenti di un gruppo familiare facente capo al “patriarca” Sebastiano Laudani (classe 1926), sottoposto con l’attuale ordinanza agli arresti domiciliari per ragioni di salute, che lo ha gestito, nel tempo, per il tramite dei suoi congiunti, tra i quali, in passato, il figlio Gaetano Laudani, ucciso nel 1992 e soprattutto, da ultimo, i nipoti Giuseppe Laudani e Alberto Caruso, entrambi "personalmente educati dal nonno", fin dalla più tenera età, secondo le rigide regole dell’appartenenza mafiosa, dell’intimidazione e della violenza.

VIDEO- PARLA IL COMANDANTE DEI CARABINIERI

12714514_10207376991495122_1909233619_n-3Storicamente caratterizzato da una autonomia criminale orgogliosamente rivendicata anche nei confronti di “Cosa Nostra” catanese, con la quale peraltro non ha disdegnato di stringere alleanze partecipando alle più sanguinose faide degli anni ottanta e novanta, e con saldi legami anche con la ‘ndrangheta reggina, il clan Laudani si è contraddistinto, nei principali eventi storici della criminalità organizzata catanese, per la ferocia ed efferatezza dei suoi vertici, tanto da rendersi protagonista, nel tempo, di alcuni dei crimini considerati tra i più gravi verificatisi nella provincia di Catania negli ultimi decenni, quali l’attentato con autobomba con 30 chili di esplosivo alla caserma dei carabinieri di Gravina di Catania del 18 settembre 1993, in cui rimasero feriti quattro militari, l’omicidio dell’agente di polizia penitenziaria Luigi Bodenza del 24 marzo 1994 e l’assassinio del noto avvocato penalista Serafino Famà, avvenuto il 9 novembre 1995.

Detta organizzazione criminale, sin dai primi anni ‘80, ha quindi raggiunto e consolidato una enorme forza di intimidazione, derivante dalla commissione di una lunga serie di omicidi (oltre cento) ed atti di violenza e minaccia, attraverso cui ha imposto la sua leadership in un’area tra le più ricche della provincia. Il denaro, provento delle attività illecite (estorsioni, usura, traffico di droga e rapine), veniva reinvestito in fiorenti attività economiche quali il commercio all’ingrosso di carni, acquisti di terreni (anche all’estero), imprese edili e commerciali.

Colpo al clan Laudani, le foto degli arrestati

A riguardo sintomatica è la condanna di Sebastiano Scuto, titolare dell’importante catena di supermercati “Despar”, a 8 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso per avere reinvestito nelle sue attività i proventi dell’organizzazione criminale. Il presente provvedimento si pone su un solco di continuità ideale con i procedimenti le cui operazioni venivano denominate “Fico d’India” e “Abisso”, riguardanti sempre il clan Laudani e con indagini delegate dalla locale Dda all’Arma dei Carabinieri, l’ultima delle quali risale al 2010.

Esso scaturisce da una complessa attività di indagine, convenzionalmente denominata “I Viceré”, avviata dalla Procura distrettuale antimafia di Catania ed affidata ai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania, la quale traeva il proprio iniziale spunto dalla collaborazione con la giustizia di Laudani Giuseppe, nipote del capostipite ed ai vertici dell’organizzazione criminale dal 1999 al 2010, primo ed allo stato unico membro della famiglia di sangue ai vertici del clan a compiere la scelta di rinnegare il proprio passato criminale mafioso ed a passare dalla parte dello Stato, svelando con le sue dichiarazioni i retroscena di quasi vent’anni di vicende mafiose che hanno tristemente caratterizzato la storia criminale di Catania e del suo hinterland.

"A seguito di ciò sono state compiute accurate indagini, consistenti sia in attività tecniche, sia nella acquisizione di ulteriori fonti dichiarative, le quali consentivano di accertare la responsabilità degli odierni indagati quali affiliati al clan Laudani, ma soprattutto evidenziavano la particolare articolazione di tale sodalizio, suddiviso in gruppi radicati ciascuno su una propria zona territoriale di influenza e dotati di una autonomia decisionale ed operativa limitata dall’esigenza di rispondere, per aspetti predeterminati e di importanza rilevante, ai vertici del clan, cioè alla famiglia Laudani di sangue", si legge nella nota dei carabinieri.

foto-9-5Una sorta di strutturaholdinginsomma, perfettamente regolata, nella quale il gruppo dominante, quello della famiglia di sangue dei Mussi, prendeva le decisioni essenziali quali guerre, alleanza, suddivisioni di tangenti con altri clan, lasciando invece l’attività più concretamente operativa, quale quella relativa alle estorsioni ed al traffico di droga, all’autonomia dei gruppi territoriali.

I gruppi la cui operatività è stata accertata risultavano radicati, oltre che nella città di Catania, segnatamente nel quartiere Canalicchio, anche in tutto l’hinterland etneo, cioè: San Giovanni la Punta, Acireale, Giarre, Zafferana Etnea, Piedimonte Etneo, Caltagirone, Randazzo, Paternò, San Gregorio, Aci Catena, Mascali e Viagrande, laddove l’egemonia criminale veniva imposta soprattutto attraverso la sistematica raccolta di denaro in danno delle più diverse attività di tipo commerciale e imprenditoriale presenti nei suddetti territori ed il traffico di droga; elementi di prova sono stati acquisiti altresì in ordine alla disponibilità di armi da parte degli indagati.

Caratterizzazione molto allarmante emersa e riscontrata nel corso delle indagini riguarda la capacità del clan Laudani di infiltrazione in apparati istituzionali; sono emerse infatti e sono state contestate ad elementi dell’avvocatura e delle FF.OO. condotte di appoggio all’associazione, qualificate come concorso esterno nel delitto associativo e reati fine, quali quello di rivelazione di segreto d’ufficio e di accesso abusivo a sistema informatico, aggravati dall’aver inteso favorire un gruppo mafioso. Nel mirino, infattianche due avvocati: Salvatore Mineo di Paternò e Giuseppe Arcidiacono di Acireale, accusati di concorso esterno. Per tali delitti sono state emesse 3 ordinanze custodiali in carcere. Le investigazioni infine hanno dimostrato, con riferimento ad un territorio particolarmente esteso, che il “clan” per affermare la propria esistenza e per assicurarsi una sostanziosa fonte di sostegno economico, ha pianificato e posto in essere nel corso degli anni e sino ad oggi un vasto e capillare sistema di estorsioni per il conseguimento del cui profitto potevano essere commessi anche gravi atti intimidatori, dagli attentati alle attività produttive sino alle aggressioni agli imprenditori. Il minuzioso lavoro di riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori e l’esame del materiale sequestrato nel corso dell’attività, tra cui vere e proprie “liste” di esercizi ed aziende sottoposte ad estorsione, ha permesso di mappare le imprese vessate che, come in alcuni casi dimostrato, versavano importi che si aggiravano tra i 3.000 ed i 15.000 euro annui a cadenze periodiche.

Le ingenti somme frutto degli affari illeciti, secondo le direttive dei capi del clan, alcuni dei quali vere menti economiche dell’organizzazione, venivano reinvestite in varie attività imprenditoriali, attraverso dei prestanome, così da eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, particolarmente in società operanti nei settori turistico-alberghiero e di rivendita autovetture. Infine, particolarmente importante è stato l’accertamento del ruolo di vertice, o comunque di tipo organizzativo, assunto dalle tre donne tratte in arresto nell’ambito del clan Laudani. Esse hanno svolto attività di rilievo fondamentale per il sodalizio, fornendo direttive in ordine alla strategia complessiva da seguire, organizzando il reinvestimento dei proventi illeciti e contribuendo addirittura al tentativo di fondazione di un ulteriore gruppo satellite, operante in territorio di Caltagirone. Ciò dimostra la capacità del sodalizio di adattarsi alle nuove situazioni e di utilizzare tutte le risorse a disposizione, ivi comprese quelle femminili, le quali, si sottolinea, risultano particolarmente adatte a ruoli di comando.

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