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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Duro colpo al clan Santapaola, arresti per il "gruppo della stazione" e della "civita"

Eseguite 24 ordinanze custodia cautelare per delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, ricettazione e detenzione di armi, estorsione, danneggiamento e incendio doloso, usura, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, evasione e rapina a mano armata

All’alba di oggi, oltre 150 militari del comando provinciale della Guardia di Finanza di Catania hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP del Tribunale di Catania su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 24 soggetti indiziati in ordine ai delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, ricettazione e detenzione di armi, estorsione, danneggiamento e incendio doloso, usura, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, evasione e rapina a mano armata.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

Operazione Reset, gli arrestati

L’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania ed eseguita dal Nucleo di Polizia Tributaria, ha avuto principalmente ad oggetto le plurime attività illecite gestite dal gruppo capeggiato dalla famiglia Zucchero, noto come "gruppo della stazione", facente parte della cosca “Santapaola – Ercolano”.

LE INTERCETTAZIONI - GUARDA IL VIDEO

Le attività investigative hanno consentito di accertare che il capo storico del clan, Giuseppe Zucchero, nonostante la detenzione in carcere, ha continuato, nel tempo, a guidare le attività illecite del suo gruppo, impartendo disposizioni ai congiunti durante i colloqui carcerari in particolare a Cristofaro Romano e Benedetto Zucchero, rispettivamente genero e figlio.

SALVI: "GRAZIE AGLI IMPRENDITORI ONESTI" - GUARDA IL VIDEO

L’approfondito e attento lavoro di indagine ha permesso di ricostruire l’intero organigramma del "gruppo della stazione", individuando quali affiliati Francesco Liberato, Roberto Di Mauro, Davide Silverio e Domenico Zuccaro. 

Dalle indagini è emerso un capillare ricorso al  “pizzo”, richiesto a tappeto a tutti i commercianti della  zona di influenza ed anche fuori dalla provincia etnea. Inoltre, per fare fronte alle sempre maggiori necessità economiche dei membri del clan (alcuni dei quali detenuti), gli associati hanno rivolto alle vittime richieste di denaro sempre maggiori.

Secondo schemi tradizionali e tipici della criminalità organizzata chi non sottostava alle richieste subiva ripercussioni e violenze di varia natura (in un caso è stato documentato l’incendio dell’autovettura di una vittima e le istruzioni specifiche su come attuare questo tipo di intimidazione fornite dal carcere dallo stesso capo storico del gruppo). 

L’attività del clan diretta al reperimento di entrate economiche è stata posta in essere anche con l’organizzazione di alcune rapine a mano armata non solo nel territorio catanese, ma anche in altre regioni: erano state anche progettate nei minimi dettagli, ma poi non portate a compimento, le rapine a un ufficio postale di Faenza e ad una gioielleria in provincia di Reggio Calabria.

Inoltre, il clan, per incrementare gli introiti, ha ampliato il proprio raggio d’azione con nuove attività illecite, in particolare avviando il “recupero crediti”. Alcuni creditori, anche usurai, per poter ottenere in maniera più rapida ed efficace la restituzione del denaro dato in prestito, si rivolgevano a soggetti mafiosi che, facendo leva sul timore ingenerato dalla propria caratura criminale, ottenevano immediatamente quanto richiesto, trattenendo una parte dell’importo riscosso come provvigione per l’attività svolta. Anche lo spaccio delle sostanze stupefacenti rientrava tra le attività più remunerative per il sodalizio. In questi casi, lo smercio avveniva reclutando persone estranee al clan al fine di far ricadere su altri il rischio delle eventuali conseguenze in caso di controlli di polizia. 

L’atteggiamento temerario dei nuovi vertici indagati ha causato momenti di frizione con altri clan mafiosi, consentendo agli investigatori di acquisire elementi  di prova su personaggi di spessore del gruppo della “Civita”, riconducibile alla famiglia Nizza (Nizza Giovanni  e Mirabella Salvatore). 

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