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Cronaca

Operazione "Terra bruciata", l'amico d'infanzia di un imprenditore "costretto" a diventare il suo estortore

Nel caso dell'operazione "Terra bruciata", che ha fatto luce sulla gerarchia del gruppo randazzese dei "Mussi 'i ficurinia", con al vertice Salvatore Sangani, gli "amici" incaricati di riscuotere il pizzo erano davvero figure legate fin dall'infanzia alle vittime. In uno dei casi accertati, l'esattore cerca di smarcarsi da questo ruolo, accettato per paura di ripercussioni. A questo punto la famiglia mafiosa va su tutte le furie e cerca una soluzione per non perdere "il contratto" estorsivo

"Cercati l'amico buono" è una frase tipica del linguaggio criminale adottato dalla mafia etnea. La si ritrova spesso nel bigliettino allegato alla bottiglia incendiaria che, come da prassi, viene inizialmente lasciata (spenta) come monito nei pressi dell'attività commerciale finita nel mirino degli estortori. Oppure sul parabrezza dell'auto che rischia di essere bruciata da lì a poco o nella cassetta delle lettere, dentro una busta anonima. Nel caso dell'operazione "Terra bruciata", che ha fatto luce sulla gerarchia del gruppo randazzese dei "Mussi 'i ficurinia", con al vertice Salvatore Sangani, gli "amici" incaricati di riscuotere il pizzo erano davvero figure legate fin dall'infanzia alle vittime. E, in base a quanto emergerebbe dalle 300 pagine dell'ordinanza, talvolta non avrebbero neanche avuto un tornaconto personale dal pesante ruolo che gli veniva appioppato per non coinvolgere, in maniera diretta, personaggi dall'elevata caratura criminale. Che avrebbero fatto leva sui sentimenti di paura e sottomissione, in relazione alla loro fama di persone poco raccomandabili.

L'amico d'infanzia diventa estortore 

Agli inizi del mese di giugno del 2020, i carabinieri fermano uno di questi emissari (il suo nome non rientra tra i 21 soggetti colpiti dalla misura cautelare della custodia in carcere, ma è indagato per estorsione ndr), che aveva appena riscosso il pizzo a Randazzo da un imprenditore locale attivo nel settore dell'edilizia. Deciderà in breve tempo di collaborare con le forze dell'ordine. Le sue dichiarazioni ricostruiscono il modus operandi del clan Sangani, che cercava di "sporcarsi le mani" il meno possibile. Al momento del suo arresto, l'estorsione andava avanti da circa tre anni. I pagamenti da mille euro al mese erano riscossi a Natale, Pasqua e Ferragosto in trance da 4mila euro ciascuna. In cambio, Salvatore Sangani ed il figlio Paolo avrebbero offerto "protezione", facendo di fatto cessare alcuni gravi episodi di danneggiamento che rischiavano di mettere in crisi l'impresa finita sotto le loro morbose attenzioni. "L'imprenditore - si legge nelle dichiarazioni del collaboratore - aveva subìto circa cinque anni prima l'incendio di una pompa per calcestruzzo e successivamente di un escavatore. Quindi era stato destinatario di telefonate in cui era esortato a 'mettersi in regola'. E, poiché non si piegava alle richieste, aveva subìto l'incendio di un garage". Salvatore Sangani in persona avrebbe quindi avvicinato questa terza persona ritenuta "di fiducia", affinchè, "in ragione del rapporto di amicizia che lo legava all'imprenditore, lo convincesse a pagare 1000 euro al mese". A questo punto l'imprenditore cede ed accetta di sottomettersi, essendosi limitato a denunciare, in passato, solo gli episodi di danneggiamento e non la successiva richiesta di denaro. Ci troviamo in piena pandemia nel momento in cui si concretizza il fermo dell'esattore materiale, che aveva consegnato il denaro a Salvatore Sangani in un bar di Randazzo, subito dopo averlo riscosso. Il 3 giugno non è una data "rossa", ma il Covid ha complicato le cose, facendo slittare i pagamenti per oggettive difficoltà economiche. E' stata quindi pattuita una sorta di dilazione della rata pasquale.

L'esattore vuole farsi da parte ed i Sangani si arrabbiano: "Lo affogo"

Successivamente, "l'amico-esattore" cerca di smarcarsi da questo ruolo, a suo dire non richiesto e vissuto con rassegnazione, suscitando le ire di Francesco e Salvatore Sangani. Che, a questo punto, sono costretti a cercare un nuovo intermediario per portare avanti l'estorsione ed evitare di suscitare un polverone. "Non mi è piaciuto che questo di buono e buono non ci vuole andare più", dice Francesco Sangani, intercettato mentre parla con il padre Turi. "Domani - questa la risposta del capoclan - se lui non ci va fai conto che lo affogo...mi stai capendo...deve fare come dico io". " Va bene magari che lui non ci vuole andare o che non gli vuole dire niente - replica il figlio Francesco - nemmeno questo, tu lo mandi a chiamare tu con quello". "Che fai? ... No lui ci deve andare obbligatoriamente...con chi sta parlando- continua Turi Sangani -...non ci va...non ci vado... Tu intanto ci vai va te lo sto dicendo... altrimenti [...] gli devi dire che se lo va a cercare lui una persona che possa parlare con me...e basta...[...] io non sono bestia io non mi faccio prendere per il culo da lui". In questo contesto di difficoltà per il clan, che rischia di perdere "il contratto" estorsivo con la ditta, secondo gli inquirenti sarebbe entrata  in gioco anche la figura di Costanzo Zammataro Giuseppe, detto "Pippu 'u pazzu", che avrebbe avuto un coinvolgimento attivo nelle mosse successive dei Sangani. Il pastore di origini acesi deve infatti difendersi dalle accuse di associazione mafiosa ed estorsione continuata ed aggravata dal metodo mafioso. L'arresto del collaboratore e le sue dichiarazioni rese agli inquirenti, sono i passi decisivi che permettono di porre fine alla riscossione del pizzo.

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