rotate-mobile
Cronaca

Sindrome di Medea, psicosi o personalità borderline: cosa avrebbe spinto Martina Patti ad uccidere Elena

La complessità dell'analisi di un omicidio come quello della piccola Elena dipende maggiormente dalla difficoltà di comprendere il movente che spinge una madre ad uccidere la propria figlia. Il manifestarsi di questi impulsi distruttivi, scatenati contro i propri figli, scuote fortemente l’opinione pubblica, ma non sorprende, invece, gli addetti ai lavori

Ancora genitori che uccidono i figli. Il cosiddetto figlicidio è un delitto ricorrente nella storia, nei drammi teatrali, come in Medea, nella letteratura e nel tessuto popolare. In tutti noi la notizia di un figlicidio ha un forte contraccolpo emotivo, scuote la coscienza in ogni persona, in quanto o è un genitore oppure è un figlio. Negli ultimi vent'anni sono oltre 480 i bambini morti in Italia per mano di uno dei genitori: sei figlicidi su dieci sono commessi dalla madre, mentre i figli maschi sono le vittime prevalenti sia delle mamme che dei padri assassini. L'omicidio della piccola Elena Del Pozzo riporta questo fenomeno di nuovo al centro dell’attenzione mediatica e costringe a porsi molte domande. Quali sono le cause, cosa c’è all’origine di questa violenza?

Il manifestarsi di questi impulsi distruttivi, scatenati contro i propri figli, scuote fortemente l’opinione pubblica, ma non sorprende allo stesso modo gli addetti ai lavori. La complessità dell'analisi di un delitto come quello di Elena dipende maggiormente dalla difficoltà di intendere il movente che spinge una madre ad uccidere la propria figlia. Un perché che sembra non essere ancora chiaro nemmeno nella mente di Martina Patti: “È come se qualcuno si fosse impossessato di me”, ha detto la donna durante l’interrogatorio. Le indagini sono ancora alle battute iniziali. Ciò che per ora possiamo dedurre dalle prime ricostruzioni è che la dinamica non sembrerebbe condurre ad un raptus improvviso, ma si tratterebbe di un'azione estremamente pianificata.

La sindrome di Medea

Martina Patti avrebbe lasciato il compagno, Alessandro Del Pozzo, il padre di Elena. Lui avrebbe conosciuto un’altra ragazza con cui ha intrapreso una relazione. Secondo gli inquirenti, è proprio il rapporto tra la nuova fidanzata del padre ed Elena a scatenare la furia omicida. “Nella coppia il padre ricopre un ruolo di equilibrio in un rapporto molto profondo tra madre e figlio – spiega Andrea Rapisarda, psichiatra, psicoanalista e psicoterapeuta SPI-IPA - Quando questo elemento di equilibrio viene a mancare il rapporto scende ad un livello molto delicato. È esperienza quotidiana che i figli vengano usati dai genitori quando c’è un conflitto nella coppia. Nel caso dell’omicidio di Elena è facile immaginare che, anche in questo cas, la figlia sia stata usata come strumento di attacco all’altro componente”. La sindrome di Medea, quindi. La donna mira a sopprimere il legame del figlio con il padre, con lo scopo di ferirlo e potersi vendicare di lui.

Omicidio di Elena Del Pozzo, l'avvocato della madre: "Era in preda a forza sovrannaturale: bimba uccisa nel luogo del ritrovamento

Lo "stato sognante"

Ma tutto ciò che ne consegue può essere "accidentale”: non vi è cioè l'intento premeditato di uccidere il bambino, ma può essere il "frutto" di un distacco dalla realtà: “Il rapporto con la realtà è una condizione che necessita di un funzionamento della mente sufficiente – aggiunge Rapisarda - Si può pensare che questa donna sia entrata in uno stato sognante. Questa condizione può essere raggiunta se si entra in uno stato in cui non domina più la realtà esterna ma dominano il mondo e il desiderio interno, in questo caso la vendetta personale. Uno stato in cui si perde la distinzione tra madre e figlia e tra amore e odio”.

Personalità borderline

Secondo Caterina Iudica, psicologa e psicoterapeuta Funzionale, le origini dell’omicidio di Elena vanno ricercate anche nella giovane età della madre (23 anni), nel suo passato e nei suoi rapporti con la famiglia di origine: “In questo specifico caso l’organizzazione rozza dell’omicidio potrebbe corrispondere a diversi quadri di patologia. Si potrebbe spiegare con la presenza di una patologia meno forte di una psicosi vera e propria, che però può avere a che fare con il disturbo della personalità o una condizione di personalità borderline, uno stato in cui vi è una sospensione temporanea della capacità di intendere di volere. In ogni caso sarà la perizia a stabilire la qualità della personalità della donna e la capacità di intendere e di volere in quel momento".

"Sicuramente - aggiunge - il figlicidio è un evento che nasce da diversi fattori, determinato da diverse concause. Una causa generica che possa portare ad un gesto simile non esiste, perché il motivo risiede nelle diversità di ogni singola storia, di ogni particolare della personalità: lì si nascondono le motivazioni che spingono una mamma a compiere questo gesto. Ma la cosa che colpisce di più è l’età giovanissima di questa donna. Non sappiamo nulla ancora di lei, se non per quello che fin ora è arrivato fin ora dalla cronaca. Come abbia vissuto l’esperienza della gravidanza e del parto, affrontata a soli 17 anni, se soffrisse di depressione. L’età evolutiva nell’essere umano si conclude intorno ai 25 anni, nel senso che c’è una maturazione neuronale che si conclude intorno a quell’età. Questa donna, quindi, non è ancora totalmente matura. Sicuramente non è una discriminante ma è un fattore da considerare. 

Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Sindrome di Medea, psicosi o personalità borderline: cosa avrebbe spinto Martina Patti ad uccidere Elena

CataniaToday è in caricamento