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Cronaca

Paolo Borrometi rinviato a giudizio per diffamazione, Fava: "Primo passo per restituire dignità alla Commissione antimafia"

Alla base della controversia nata da un'audizione in commissione antimafia c'è la pubblicazione di un articolo che secondo il giornalista di 'La Spia' era stato redatto sin dall'inizio con un documento di cui la Commissione antimafia contestava la carenza. Secondo gli inquirenti l'atto sarebbe stato aggiunto dopo l'audizione

"Mi si accusa di non aver pubblicato l'appello pro Scicli contro lo scioglimento...Falso, falsissimo. Lo dico durante l’interrogatorio in antimafia regionale...Provate a mettere, su Google, 'appello contro lo scioglimento di Scicli', vedrete che vi apparirà la pubblicazione del 15 marzo 2015, da me – ribadisco – pubblicato. Io quel documento l’ho pubblicato. E invece nella relazione si dice 'Borrometi non lo ha pubblicato'". È il post pubblicato su Facebook dal giornalista Paolo Borrometi il 20 aprile 2020 per la cui stesura la procura di Ragusa l'ha rinviato a giudizio per diffamazione nei confronti della Comissione di inchiesta antimafia regionale presieduta da Claudio Fava. Al centro della controversia la pubblicazione di un documento di cui la Commissione contestava la carenza. 

"Perché nella relazione della Commissione si dice questa cosa palesemente non vera? - continuava il post - io quel documento l’ho pubblicato. Ed invece nella relazione si dice 'Borrometi non lo ha pubblicato'. Perché nella relazione della Commissione presieduta da Fava si dice questa cosa palesemente non vera?". Affermazioni che, per gli inquirenti, sarebbero sufficienti per fare assumere a Borrometi lo status di imputato. Stando alla ricostruzione dei pm Fabio D'Anna e Monica Monego, il giornalista de 'La Spia' avrebbe offeso la reputazione, oltre che di Fava, anche dell'intera Commissione composta da Gaetano Galvagno, Rosanna Cannata, Nicola D'Agostino, Luisa Annunziata Lanteri, Margherita La Rocca e Giuseppe Zitelli. Tutti componenti della Commissione che, in corso di audizione, avevano affermato che, nonostante accurate ricerche, l'articolo non era stato trovato.

"La pubblicazione di detto articolo risultava intervenuta sul sito online 'La Spia' tra le 17.59 del 26 febbraio 2020 (ovvero al termine dell'audizione di Borrometi dinanzi la Commissione parlamentare) e le 19.47 del 27 febbraio 2020 - scrivono gli inquirenti nel decreto di citazione a giudizio - l e non il 15 marzo 2015". Quest'ultima data in cui è stato pubblicato l'articolo originale. Il procedimento segue le querele del 2 e del 13 luglio. "È un primo e dovuto passo per restituire onorabilità alla nostra Commissione, al lavoro svolto e allo scrupolo con cui abbiamo sempre operato", dichiara Claudio Fava. 

La replica del legale del giornalista non tarda ad arrivare. "Non esistevano i presupposti per la celebrazione di un dibattimento a carico di Paolo Borrometi per quella scombiccherata ipotesi di reato - sostiene Fabio Repici - Sottoporrò i fatti al Csm, perché si valuti se l'emissione del decreto di citazione a giudizio, davanti alle risultanze del fascicolo, possa rientrare nel campo delle valutazioni discrezionali che un pm compie al termine delle indagini preliminari o se invece ci siano elementi per ritenere inadeguata l'azione del dottore D'Anna come capo di un ufficio requirente e della dottoressa Monego come pubblico ministero", aggiunge. "Il Tribunale di Ragusa -  sottolinea il legale - prenderà atto non dell'assenza di prove a carico di Borrometi ma della sussistenza di prove che dimostrano l'assoluta falsità dei fatti contestati al giornalista. Magari sarà l'occasione per identificare i responsabili della criminosa attività di hackeraggio compiuta ai danni del giornalista".

"Dopo le querele e durante le indagini preliminari - ha continuato Repici - avevamo dimostrato documentalmente alla Procura che in periodo di poco precedente all'audizione di Paolo Borrometi davanti alla Commissione la testata online da lui diretta era stata bersaglio di una gravissima operazione di hackeraggio". E questa, precisa il legale, "non è la tesi dei difensori di Paolo Borrometi, ma la conclusione raggiunta dalla Procura di Roma". Per il legale, dunque, le accuse sarebbero prive di fondamento perché "la pubblicazione contestata a Borrometi dalla Commissione antimafia regionale come mai pubblicata era, invece, stata effettivamente pubblicata il 15 marzo 2015 e quell'articolo, dopo l'intrusione degli hacker, era stato rimosso dagli articoli visibili e relegato nel cestino del sito ('trash'), dove è stato recuperato dall'unico consulente tecnico che da aprile 2020 ha ufficialmente potuto accedere e ispezionare dall'interno il sistema informatico utilizzato da Borrometi". 

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