Processo d'appello per il naufragio di 700 migranti: perizia per il capitano
La sentenza di primo grado ha riconosciuto il diritto al risarcimento danni a due giovani del Bangladesh che si erano costituiti parte civile.Erano tra i 28 sopravvissuti, che viaggiavano da soli
La tragedia avvenne la sera di sabato 18 aprile 2015: quando la centrale operativa di Roma della guardia costiera, raccolta la segnalazione di un peschereccio in difficolà' carico di migranti, ordinò alla nave mercantile portoghese King Jacob, che era in navigazione nell'area, di cambiare rotta e raggiungere il barcone per prestare soccorso. Il peschereccio ormai sottobordosi capovolse e inabissò.
Dall'inchiesta della Ppocura di Catania, che ha coordinato le indagini dello Sco di Roma e della squadra mobile della etnea è emerso che "fu determinato da una serie di concause: il sovraffollamento dell'imbarcazione e le errate manovre del 'comandante', che portarono il peschereccio a collidere col King Jacob". In particolare il 'capitano' "con la sua imperizia avrebbe causato la collisione" con la nave dei soccorritori provocando "l'affondamento in pochi minuti". Il 'mozzo', invece, avrebbe "tenuto i contatti con organizzatori libici e fatto eseguire le disposizioni del 'capitano' a bordo".
I corpi sono stati recuperati un anno dopo e portati ad Augusta insieme al natante di 21 metri affondato a 375 metri di profondità, a conclusione di una complessa operazione disposta dalla presidenza del consiglio e dal ministero della difesa, coordinata dalla marina militare.
La sentenza di primo grado ha riconosciuto il diritto al risarcimento danni a due giovani del Bangladesh che si erano costituiti parte civile. Erano tra i 28 sopravvissuti, che viaggiavano da soli, dopo avere lasciato le famiglie, ed erano assieme ad altri minorenni.