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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Giovani donne nigeriane reclutate nel loro paese e costrette a prostituirsi a Catania

Donne partite dalla Nigeria alla volta dell’Italia: dopo avere contratto un debito di decine di migliaia di euro con una madame “Mummy”, venivano sottoposte al rito magico-esoterico denominato “JuJu”, in forza del quale in caso di inadempimento degli obblighi assunti, le ragazze e i loro familiari erano colpiti da disgrazie di ogni genere

La squadra mobile di Catania, con la collaborazione delle squadre mobili di Roma e Genova, ha dato esecuzione ad un decreto di fermo emesso in data 14 marzo 2016 dalla direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania nei confronti di 6 persone.

Si tratta di Johnson Sandra ( del 1992) tratta in arresto a Catania, Igbinosun Friday (del 1982) tratto in arresto a Genova, Aigbedion Kelvin (del 1993) tratto in arresto a Roma, Asewo Emmanuel (del 1989) tratto in arresto a Catania, Ekhator Jennifer (del 1985) tratta in arresto a Roma, Owamagbe Faith (del 1985) tratta in arresto a Genova.

VIDEO INDAGINI E ARRESTI DELLA POLIZIA

Nei confronti dei primi 5 soggetti si è proceduto a fermo per il reato di associazione a delinquere finalizzata al reclutamento ed introduzione nel territorio dello Stato di giovani ragazze nigeriane, alcune delle quali minori, al fine di sfruttarne la prostituzione e per il delitto di tratta di persone con l’aggravante della transnazionalità, per esser stato commesso da un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno stato. Nei confronti della Owamagbe si è proceduto a fermo per il reato di favoreggiamento della prostituzione minorile aggravato, avendo la stessa favorito ed organizzato la prostituzione di una giovane minorenne nigeriana già vittima di tratta ad opera dell’associazione investigata.

Il provvedimento restrittivo accoglie gli esiti di un’articolata attività investigativa di tipo tecnico coordinata dalla locale Dda ed avviata dalla locale squadra mobile - sezione criminalità straniera e prostituzione - nel mese di settembre del decorso anno a seguito di un controllo di Polizia eseguito lungo la statale 417 Catania - Gela di una giovane cittadina nigeriana, “Dorina” - nome di fantasia- la quale, a seguito di accertamenti, risultava essere minorenne. La ragazza, su indicazione della locale Procura della Repubblica per i Minorenni, veniva collocata in una comunità e successivamente rendeva sommarie informazioni nel corso delle quali riferiva di essere partita dalla Nigeria alla volta dell’Italia, dopo avere contratto un debito di decine di migliaia di euro con una madame “Mummy”, che l’aveva sottoposta al rito magico-esoterico denominato “JuJu”, in forza del quale in caso di inadempimento degli obblighi assunti, la giovane e i di lei familiari sarebbero stati colpiti da disgrazie di ogni genere.

Seguendo le istruzioni fornite da un “Boga”, responsabile del trasferimento, la minore intraprendeva un viaggio articolato in più tappe dalla Nigeria sino alla Libia: sul territorio libico si fermava diverse settimane, controllata a vista da persone armate ed, infine, dalle coste libiche si imbarcava a bordo di un gommone per raggiungere la Sicilia nell’agosto del 2015. All’arrivo in Italia la minore veniva collocata in una comunità nel nord Italia e, grazie al contributo di tutti i sodali operanti in varie parti del territorio, veniva “presa in consegna” e condotta nella città di Catania ove la attendeva la sua “madame” (asseritamente figlia della “Mummy” nigeriana che l’aveva sottoposta al rito “JuJu”),che provvedeva ad immetterla immediatamente nel circuito della prostituzione su strada.

Le indagini tecniche, avviate sulla scorta di quanto raccontato dalla minore, consentivano di verificare l’esistenza di una vera e propria associazione, ben organizzata sul territorio nazionale, avente base operativa a Catania ma dotata di sedi distaccate anche a Genova e a Roma: l’associazione poteva contare sull’imprescindibile contributo di sodali in Nigeria e Libia, contributo grazie al quale risultava in grado di controllare e seguire il lungo viaggio delle vittime dalla Nigeria alla Libia e dalla Libia verso l’Italia, mantenendo contatti costanti con connazionali o soggetti libici responsabili delle varie tratte attraverso il continente africano e provvedendo alle erogazioni di danaro, di volta in volta necessarie ad accelerare l’imbarco verso le coste sicule. All’arrivo in Italia le vittime venivano agevolmente localizzate dall’organizzazione e, grazie all’apporto sinergico dei sodali, venivano “prelevate” dai luoghi ove risultavano collocate dalle autorità italiane e condotte presso i rispettivi sfruttatori: questi ultimi, poi, provvedevano a sottoporle ad un breve tirocinio di una settimana circa al fine di istruirle sull’attività del meretricio che avrebbero dovuto svolgere e i cui proventi avrebbero dovuto integralmente consegnare ai propri aguzzini per adempiere gli obblighi assunti con il rito “JuJu”.

Lo sviluppo dell’attività investigativa consentiva di appurare che, in costanza di indagini, l’organizzazione aveva reclutato ed introdotto nel territorio nazionale almeno otto cittadine nigeriane, in parte minorenni, alcune delle quali non ancora identificate, tutte immesse nel circuito della prostituzione su strada.

Le giovani venivano, difatti, indottrinate sulle dichiarazioni da rendere all’arrivo in Italia, in particolare venivano ammonite a non dichiarare la minore età. Venivano, inoltre, avvertite di sottrarsi ai controlli delle Forze dell’Ordine, dando immediato avviso ai propri sfruttatori dell’eventuale presenza di personale in divisa sui luoghi del meretricio. Particolare menzione meritano, poi, le acquisizioni relative alla condotta dei familiari delle giovani vittime di tratta: se in alcuni casi le ragazze venivano attirate in Italia con la falsa promessa di una normale attività lavorativa, in altri casi la destinazione al meretricio è risultata, seppur implicitamente, espressa e nota anche ai parenti delle vittime. In questi casi i componenti dell’associazione, che riuscivano a mantenere tramite i sodali in Nigeria rapporti costanti con i familiari delle ragazze, avevano cura di avvisarli e minacciarli ogni qual volta le giovani opponessero resistenze o non si impegnassero nel meretricio ovvero ancora si dessero alla fuga: in tal senso si assicuravano una pressione costante sulle vittime che venivano esortate dagli stessi parenti ad obbedire ai propri sfruttatori e ad uniformarsi ai loro ordini, temendo la maledizione del “JuJu” cui la vittima era stata a suo tempo sottoposta ovvero temendo essi stessi di esser sottoposti a “JuJu” in sostituzione della parente inadempiente.

Va, altresì, sottolineato che i componenti dell’associazione investigata non disdegnavano di offrire ausilio ad altri connazionali che da altri stati dell’Unione Europea avevano reclutato vittime, offrendo un valido contributo per il rintraccio delle giovani “commissionate” e per il loro effettivo avvio alla destinazione finale. Le risultanze investigative complessivamente hanno confermato ancora una volta la centralità e l’importanza del nostro territorio per i recenti fenomeni migratori e per i traffici illeciti ad essi connessi: al riguardo il delitto di tratta di persone rappresenta la più grave delle fattispecie di reato previste dal legislatore anche per le sue implicazioni associative e per la sua vocazione transnazionale (tant’è che risulta attribuito alla competenza della DDA in fase di indagini e della Corte di Assise in fase dibattimentale) e pare esser divenuto di triste attualità in ragione del vieppiù crescente sfruttamento determinato dalle condizioni di povertà assoluta della popolazione subsahariana e del sempre più progressivo aumento degli arrivi via mare di cittadini nigeriani di sesso femminile (dati OIM sul numero delle donne nigeriane sbarcate in Italia: 433 nel 2013; 1454 nel 2014; 4.937 sino al 31 ottobre 2015). 

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