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Cronaca

Sequestrati beni a "Melo squadrito" del clan Laudani, coinvolto nell'inchiesta "Viceré"

La misura di prevenzione ha colpito il patrimonio riconducibile a Carmelo Bonaccorso: sigilli a ville, auto e all'azienda "Fruttissima 2"

I carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania, su delega della procura della Repubblica, hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro di beni, emesso dal tribunale di Catania, sezione misure di prevenzione, nei confronti di Carmelo Bonaccorso del 1962.

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Le indagini patrimoniali hanno fatto emergere che all’interessato è riconducibile, in modo diretto o indiretto, un patrimonio il cui valore è apparso sproporzionato rispetto ai redditi dallo stesso dichiarati. La vigente normativa prevede che il Tribunale Misure di Prevenzione possa ordinare il sequestro beni quando la persona per la quale è stata presentata proposta, risulta poter disporre, direttamente od indirettamente di beni, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato od all’attività economica svolta, ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. 

L’emissione del provvedimento di sequestro in questione scaturisce dalla sussistenza del presupposto della pericolosità sociale di Carmelo Bonaccorso, inteso “Melo squadrito”, derivata dalla sua militanza nell’ambito dell’organizzazione criminale di tipo mafioso denominata clan Laudani, operante nello specifico nel territorio di Viagrande. Bonaccorso venne condannato per il reato di associazione di stampo mafioso nell’ambito del procedimento penale scaturito a seguito dell’operazione “Ficodindia” dei carabinieri di Catania. A seguito di tale procedimento al Bonaccorso venne inoltre applicata dal tribunale etneo per due anni la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.

A confermare la prova della sua affiliazione al clan, è stata l’operazione “Vicerè”, condotta sempre dai carabinieri, che costò a Carmelo Bonaccorso un processo e la successiva condanna a 11 anni e 6 mesi di reclusione per associazione a delinquere di tipo mafioso. In tal senso, numerose sono state le dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia nell’ambito dell’indagine “Vicerè”, che ne indicavano inequivocabilmente la sua partecipazione attiva alle riunioni dei responsabili del clan circa gli assetti organizzativi.

Sono stati posti a sequestro i seguenti beni: azienda “Fruttissima 2 s.r.l.” attiva nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti ortofrutticoli, con sede in Viagrande (formalmente nella titolarità della moglie e del figlio Pietro); un fabbricato di circa 140 metri quadrati, adibito a magazzino e locale di deposito ubicato in Viagrande (formalmente nella titolarità del figlio Sebastiano); abitazione in villa di circa 260 metri quadrati, ubicata nel Comune di Trecastagni (formalmente nella titolarità del figlio Pietro); abitazione di 120 metri quadrati con relativo posto auto, ubicata nel Comune di Viagrande (formalmente nella titolarità del figlio Pietro); due autoveicoli, di cui una BMW X1 ed una FIAT 500 (formalmente nella titolarità della moglie Agata Arena); i saldi attivi di rapporti finanziari, nonché fondi assicurativi, esistenti presso istituti di credito e compagnie assicurative, intestati ai componenti del nucleo familiare. Il valore complessivo è stimato in circa 1.100.000 euro

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