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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Speciale elezioni rettore, Enrico Iachello: "Puntare sulla qualità"

Ecco la lettera scritta dal coordinatore del "Dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali", uno dei candidati a ricoprire la carica di rettore. Attingere sempre di più al fondo premiale del Ministero tra le proposte

In vista delle elezioni in cui verrà scelto il nuovo rettore dell'Università di Catania, riportiamo il programma del candidato Enrico Iachello, coordinatore del "Dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali". La lettera è stata pubblicata nel quotidiano "La Sicilia".

ILCANDIDATO. Nato a Francofonte il 29 aprile 1952, Enrico Iachello dal 2012 è componente del Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Catania; per sette anni è stato preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania e dalla sua fondazione fino all’anno accademico 2004-2005 presidente del corso di laurea in Scienze dei beni culturali con sede a Siracusa.

“Professeur Invité” nel 1996 a Parigi presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Coordinatore del Dottorato di ricerca in Storia (Storia moderna), poi Dottorato di ricerca in “Storia della cultura della società e del territorio in età moderna” e, dal 2010 a oggi, “Dottorato in Scienze umanistiche e dei beni culturali”; dal 2011 Coordinatore nazionale del Master europeo Erasmus- Mundus in ”European territories: identity and development”; dal 2008 presidente della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale fondata nel 1903.

PROGRAMMA.Credo che la priorità “assoluta” per la nostra Università, così come per il Paese, sia oggi quella di affrontare la situazione rappresentando correttamente la verità dei fatti ai propri interlocutori e, in particolare, al corpo elettorale, smettendola con la “fiera delle promesse”. Si richiedono uno sforzo e un impegno straordinario. Così come il nostro territorio vede messo a repentaglio il suo livello di benessere (meglio: quel che ne resta), anche il nostro Ateneo è a rischio.

Si esamini un dato: il contributo del Ministero (il cosiddetto Ffo) assegnato all’Ateneo catanese è stimato, per il 2013, in circa 165 milioni di euro (corrisponde alla cifra del 1998); la spesa per i nostri stipendi è pari a 178 milioni. Per quest’anno, con i risparmi fatti in passato e con le riduzioni di spesa degli ultimi esercizi, riusciremo ancora a garantire un servizio adeguato.

Dall’anno prossimo, la situazione può precipitare e rischiamo di essere costretti a indebitarci. Questa è la verità. Che fare? L’unica strada percorribile consiste nell’attingere sempre di più al fondo premiale del Ministero. Una parte crescente delle risorse ministeriali viene distribuita agli atenei in base ai risultati raggiunti; in particolare, rilevano i risultati della didattica (per adesso “misurati” essenzialmente sulla regolarità del percorso di studio degli studenti) e la produttività della ricerca scientifica.

Per entrambi i fattori, il nostro Ateneo può adoperarsi per migliorare il livello delle entrate: la media nazionale dei fuori corso è del 33,5 %, la nostra è superiore al 45%. Per la ricerca, i primi indicatori ci dicono che siamo sotto la media nazionale. Dobbiamo impegnarci di più nella didattica e nella ricerca. Sono necessari: a) più attività didattica e più tutorato; b) personalizzare il percorso formativo dei fuori corso, con uno scadenzario credibile per il conseguimento della laurea; c) stabilire rapporti organici con le scuole per attivare iniziative di orientamento, ma anche di conoscenza del background studentesco.

Per la ricerca occorre: a) dare vita a un osservatorio che ci consenta di “entrare” nel merito di essa, in modo da individuare punti di aggregazione scientifica, ma anche in modo di orientarla in parte sulle esigenze del nostro territorio; b) non avendo risorse sufficienti per incentivare economicamente chi produce migliore ricerca, dobbiamo riservare le cariche accademiche a chi occupa le posizioni più elevate nelle graduatorie di produttività scientifica. Questo non è un “espediente” per incentivare la produttività scientifica, ma un principio di coerenza per un Ateneo che deve puntare sempre più sulla qualità: il governo dell’Ateneo, a partire dal rettore, deve essere affidato ai docenti che questa qualità garantiscono con il loro lavoro.

Un’altra priorità del nostro Ateneo: ridefinire il nostro ruolo nel territorio, qualificandoci come risorsa per lo sviluppo. Negli anni in cui sono stato preside, il Monastero dei Benedettini è diventato punto di riferimento per l’attività culturale della città. Più in generale, occorre dialogare sul serio con le organizzazioni imprenditoriali, sindacali, sociali, per comprendere di quali competenze il nostro territorio abbia bisogno; ciò vale per i corsi di laurea, e vale soprattutto per i master. Da qui bisogna ripartire anche per affrontare in modo positivo lo “scandalo” della formazione nella nostra Regione: agli imprenditori e ai sindacati va richiesto un piano di formazione legato alle reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro; alle istituzioni universitarie può essere affidato l’accreditamento degli enti e il controllo di qualità dei corsi.

Uno dei punti di forza della presenza nel territorio dell’Ateneo è la sanità. Ma l’Ateneo vi interviene e deve potervi intervenire a partire dalla sua specificità: la formazione dei medici, cioè dando priorità a didattica e ricerca. L’assistenza è importante, ma nell’ambito di questa mission didattico- scientifica. Per svolgere un ruolo di rilievo, l’Ateneo deve mobilitare al meglio il suo apparato amministrativo. Al direttore generale e alla dirigenza bisogna chiedere di fornire servizi sempre più efficienti, in grado di facilitare l’azione dei docenti.

Occorre porre fine ai punti di frizione tra burocrazia e docenza. Occorre, però, prendere atto che il rapporto di forze è del tutto a sfavore del personale tecnico-amministrativo. Dobbiamo, nel reclutamento, tenere conto di ciò in modo adeguato, così come della necessità di stabilizzare i nostri “precari”. E per non fare demagogia, dico che le risorse possiamo prenderle solo dai risparmi stipendiali provenienti dal trasferimento sul bilancio regionale del personale del Policlinico. Circa 10 milioni di euro l’anno verranno così risparmiati a regime. Se non si fosse fatta questa operazione, se essa malauguratamente non fosse più possibile, il default sarebbe alle porte.
 

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