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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Il padre di Vanessa Zappalà: "Sciuto la pedinava con il gps, lasciato libero di fare tutto"

Intervistato dal Corriere della sera, Carmelo Zappalà ripercorre i fatti che hanno accompagnato la fine della relazione tra la figlia e Tony Sciuto: litigi, minacce e appostamenti fino alla denuncia e l'arresto, che però non ha impedito all'omicida di covare risentimento e vendetta fino al tragico epilogo

“Venne arrestato e il giorno dopo era libero”, così Carmelo, il padre di Vanessa Zappalà, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda i fatti che hanno accompagnato la fine della relazione tra la figlia e Antonino Sciuto. Una “storia d'amore” che ben presto si era rivelata un vero e proprio inferno. Sciuto era stato accolto in famiglia per rendere felice Vanessa, nonostante non piacesse ai genitori. L'uomo racconta che la convivenza con l'uomo diventò difficile a causa dei litigi continui. “Quando dopo botte e parolacce mia figlia l’ha mollato, quando io gli ho tolto le chiavi di casa, ha cominciato ad appostarsi per ore sotto le finestre o davanti al panificio dove Vanessa lavorava”. A quel punto arrivano anche le denunce: “Dopo un inverno passato da Vanessa prigioniera in casa per paura di incontrarlo, dopo mille minacce, abbiamo dovuto mettere nero su bianco. Perché abbiamo scoperto che con un duplicato delle chiavi la sera si intrufolava nel sottotetto di casa mia, una sorta di ripostiglio, e dalla canna del camino ascoltava le nostre chiacchiere”.

Particolari inquietanti che completano il quadro di una personalità disturbata che non aveva accettato la fine della relazione. I carabinieri hanno trovato addirittura un gps installato nell'auto di Vanessa e in quella del padre, dispositivi che consentivano a “Tony” Sciuto di monitorarne i movimenti. Dopo la denuncia i carabinieri di Trecastagni sono rimasti in contatto con Vanessa: “Il maresciallo ha dato il suo cellulare a mia figlia – spiega ancora – in modo che lo potesse chiamare in qualsiasi momento se ce ne fosse stato bisogno”. Purtroppo però qualcosa non ha funzionato nel dispositivo di protezione: “Trovano un pazzo di catena che spia dal camino o con i Gps, un violento che picchiava la ragazza, e che fanno? Dopo una notte in caserma, il 7 giugno, un martedì, e una di interrogatorio, arriva il giudice e lo manda a casa con gli 'arresti domiciliari'. Inutili. Perché tre giorni dopo, il sabato, era il 13 giugno, ce lo ritroviamo tra i piedi, ma con un provvedimento altrettanto inutile: l’obbligo di non avvicinarsi a mia figlia per 200 metri. È questa l’Italia che vogliamo? Davvero pensano che da 200 metri non si possa fare male? Oppure che un pazzo come questo non possa armarsi e sparare da tre metri? Se lo consideravano malato dovevano rinchiuderlo in una comunità e curarlo. Non lasciarlo praticamente libero di fare tutto”.

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