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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Corso Italia / Via Monfalcone

C'era una volta via Monfalcone, shopping e movida vanno in trasferta

Negozi sfitti, i famosi portici abbandonati. E chi ha contribuito al successo di questa via è stato costretto a trasferirsi. "Nel negozio di via Monfalcone pagavo 15 mila euro al mese di affitto - spiega Gigi Tropea che nel 2012 ha deciso di "spostarsi" e aprire il suo negozio al viale Africa - qui ne bastano 5000"

C’era una volta via Monfalcone. O meglio lo shopping, la movida, il pubblico pagante del salotto buono catanese che oggi pare aver perso quasi del tutto la linfa che lo animava fino ad alcuni anni fa. Negozi sfitti, i famosi portici abbandonati. Chi aveva contribuito al successo di questa via, è stato costretto a trasferirsi. Colpa della crisi? Non solo. "Nel negozio di via Monfalcone pagavo 15 mila euro al mese di affitto - spiega Gigi Tropea che nel 2012 ha deciso di "spostarsi" e aprire il suo negozio al viale Africa - qui ne bastano 5000 per uno spazio di 700 mq. E non sono l’unico ad aver fatto questa scelta. Da qui a breve il viale Africa potrebbe acquisire un ruolo strategico per i commercianti. Si sono fatti già avanti molti imprenditori del nord e stranieri. Victoria’s Secret aprirà qui accanto nei prossimi mesi. In ogni caso Corso Italia non è più quello di una volta, non c’è quella concentrazione di gente tale da poter giustificare affitti così elevati".

Cosa è rimasto di via Monfalcone - ph Andrea di Grazia

Duro il giudizio sull’operato del comune. "Per 25 anni ho organizzato eventi di mia iniziativa - continua Gigi Tropea - con il contributo dei negozianti della zona. Niente è stato fatto dalle amministrazioni per promuovere il commercio, tranne la concessione di alcune autorizzazioni. Bianco? Siamo fiduciosi nella sua esperienza. Vorremmo che si incrementasse la collaborazione tra pubblico e privato per riqualificare parti abbandonate della città, come piazzale Oceania. Abbiamo già in mente un progetto per la costruzione di una piccola palestra all’aperto".

Sempre nella zona, molti negozianti sono stati costretti a chiudere i battenti. Parlano chiaro in proposito i dati dell’ultimo report “Economia Artgianato e Piccola Impresa” diffuso dalla Cna. A Catania negli ultimi sei mesi 113 le imprese sono andate incontro al fallimento. Inoltre il capluogo etneo è al secondo posto per concordati (41), preceduta solo da Palermo (99).

"Il calo di vendite che la mia attività ha subito negli ultimi 6 anni è dell’80%", dichiara il titolare di un negozio d’abbigliamento femminile di via Monfalcone. Che punta subito il dito contro la grande distribuzione e la mancanza d’investimenti nel centro città. "Il mercato ormai è saturo, c’è tanta offerta e troppa povertà. I giovani comprano molto meno e lo stesso vale per i pensionati e le fasce deboli. Il centro aveva già i suoi problemi legati alla mancanza di parcheggio, al traffico. Ma da quando hanno aperto tutti questi centri commerciali la situazione è precipitata. E in molti non sono riusciti a sopravvivere".

Se i costi delle botteghe hanno costretto i commercianti della zona a fare fagotto e andare via, anche il settore immobiliare non è messo bene. Nonostante, infatti, via Monfalcone continui a vivere dei ricordi del passato, i costi continuano a salire. "In Italia il mercato è fermo, e qui da noi lo scenario è tutt’altro che roseo, come confermano i dati dell’Agenzia del Territorio,a causa dell’altissima tassazione e delle difficoltà nell’accesso al credito, soprattutto per i giovani", spiega Danilo Cannavò, agente immobiliare.

"Il prg? Non ha avuto nessuna conseguenza, il problema non è il numero degli immobili disponibili, ma il costo. Molti miei colleghi si trovano in difficoltà perché la maggior parte delle case catanesi, costruite negli anni ’60, sono composte da 4-5 vani, in proporzione al numero di figli dell’epoca. Oggi i clienti possono permettersi uno standard decisamente più basso: massimo 3 vani ad un costo di 140-150 mila euro, non di più. Nelle vie più centrali, come Corso Italia e via Monfalcone, una abitazione del genere ha un costo di circa 200 mila euro. Ma sono proprio queste le aree ancora sfruttabili, da un punto di vista commerciale. Dalle periferie arrivano pochi segnali di vita".

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