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Venerdì, 29 Marzo 2024
Economia

Nuovi aumenti in vista: perché fare la spesa costerà sempre di più

Vacondio (Federalimentare): "Il cibo a buon mercato non esisterà più". L'impennata dei prezzi non si arresta. L'ipotesi taglio dell'Iva sarà sul tavolo del nuovo governo

I prezzi alimentari aggregati di settembre hanno segnato un aumento tendenziale superiore all’11%. Lo scenario è fortemente critico, tra aumento dei costi delle materie, guerra in Ucraina, crisi energetica (senza dimenticare la siccità della scorsa primavera-estate): la corsa dei prezzi del cibo era ampiamente prevista. "L'inflazione non ha finito la sua corsa. Il carrello della spesa degli italiani aumenterà ancora", dice Ivano Vacondio, che da gennaio 2023 lascerà la guida di Federalimentare. "Dall’inizio dell’anno i costi di produzione delle aziende alimentari sono cresciuti del 16%, ma a valle le imprese hanno scaricato solo il 12 per cento - dice al Sole 24 Ore -  A differenza delle grandi, le Pmi non sono in grado di assorbire questi aumenti al proprio interno, così saranno costrette ad alzare ancora i prezzi".

Ma c'è un'altra previsione a lungo termine forse più inattesa: "Il cibo a buon mercato - profetizza - non esisterà più. La pandemia prima, e poi la carenza di materie prime e le difficoltà di approvvigionamento hanno dimostrato l’importanza strategica della produzione alimentare. Oggi tutti ci riconoscono il valore che abbiamo; abbiamo ripreso dignità. Anche i rapporti con la grande distribuzione si sono riequilibrati: ora gli operatori della Gdo ci riconoscono il giusto valore come fornitori". Nell'ultimo decennio i consumi alimentari in Italia sono scesi del 10 per cento. "Nel nostro Paese non possono più aumentare, con una popolazione nazionale che diminuisce e invecchia - continua Vacondio - la vera sfida, per il made in Italy, è quella sui mercati esteri. Ed è lì che dobbiamo combattere gli attacchi dei nostri competitor".

Gli alimenti aumentati di più

L'impennata dei prezzi non si arresta: nella lista degli aumenti più forti per i prodotti alimentari è in testa ancora una volta l’olio di semi, che costa ormai come l’olio di oliva (e presto potrebbe superarlo). Anche la margarina segna rincari consistenti con un +26,5%. L'ondata di aumenti preoccupa soprattutto perchè colpisce tutti beni di prima necessità, colpendo dunque in primis le famiglie più svantaggiate. Nella graduatoria dei rincari che incidono di più sulla spesa quotidiana ci sono il burro con un +38,1% rispetto a un anno fa, il riso con +26,4%, la farina con oltre il 24%, in più. La pasta aumenta del 21,6%. Lo zucchero segna una salita del 18,4%, i gelati del 18,2%. Anche i prodotti freschi subiscono significativi aumenti dei prezzi, a partire dai vegetali che registrano un +16,7%, seguiti da uova (+16,6%) e pollame (+16,5%). Il latte fresco parzialmente scremato costa il 15,3% in più, il pane il 14,6% e, con la carenza di anidride carbonica, le acque minerali il 12,9%.

L'ipotesi taglio dell'Iva

Di recente si è tornati a parlare di un possibile taglio dell'Iva sugli alimentari, che "rappresenta una misura indispensabile per abbattere i listini al dettaglio e alleggerire la spesa delle famiglie" secondo Consumerismo No Profit, il cui presidente Luigi Gabriele spiega: "La riduzione dell’Iva su cibi e bevande avrebbe effetti positivi diretti non solo sulla spesa quotidiana delle famiglie, ma anche su quella di bar, ristoranti, hotel, strutture ricettive e attività varie, e di conseguenza sui listini al pubblico di una moltitudine di servizi con un effetto 'calmierante' sull’inflazione. Al tempo stesso, però, è necessario aumentare la vigilanza su quei fenomeni distorsivi dei prezzi, a partire dalla 'shrinkflation', ossia la pratica sempre più diffusa di ridurre le quantità di prodotto presenti nelle confezioni senza diminuire i prezzi al pubblico. Una prassi che svuota i carrelli degli italiani e produce una inflazione occulta che aggrava la già delicata situazione attuale", conclude. 

Ci sono pro e contro, la decisione spetterà eventualmente al prossimo governo Meloni. Se è vero che si avrebbe il vantaggio di aggredire direttamente l’inflazione sul carrello della spesa, si impegnerebbe tuttavia la finanza pubblica per aiuti fiscali rivolti anche a chi non è in difficoltà, perché il taglio dell’Iva riguarderebbe tutti, anche chi può fare a meno di questo aiuto, disperdendo così risorse. Secondo alcune stime credibili, costerebbe però molto, quasi 4 miliardi, l’azzeramento dell’imposta sul valore aggiunto solo su pane, pasta, farina, patate, latte e olio d’oliva e il calo dal 10% al 5% dell'Iva su prodotti come carne bovina, di vitello e di pollo, salumi, pesce fresco, uova e cioccolato. Cancellare per un anno l’IVA sul pane fresco, oggi al 4%, costerebbe 253 milioni.

Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, ha detto qualche tempo fa: "Un taglio limitato ai beni necessari con Iva al 4% rischia di produrre un effetto nullo sulle tasche dei consumatori", spiegava. È molto probabile, aggiungeva, che i "commercianti, anche loro in grande difficoltà per via degli aumenti dei costi di esercizio e del caro bollette, non ritocchino in basso i loro listini a fronte di una riduzione dell’Iva così bassa e di prezzi che stanno invece esplodendo, non traslando sui loro clienti i possibili benefici del provvedimento".

Fonte Today.it

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