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Call Center: c'è ancora chi investe sul territorio etneo soldi e risorse

Incontro sul tema della crisi dei call center. Positiva la presenza delle aziende che in questo momento storico investono sul territorio etneo soldi e risorse, senza guardare alle comode delocalizzazioni

Ieri è stato organizzato da Cgil e Slc Cgil di Catania un incontro sul tema "Glocal Industry: Globalizzazione industriale dei call center e perdita di lavoro locale, quali possibilità di arrestare il processo?". La convention ha puntato i fari su aspetti - negativi e positivi- che guardano al futuro, e ciò in presenza delle aziende che in questo momento storico dimostrano di investire sul territorio etneo soldi e risorse, senza guardare alle comode delocalizzazioni.

Catania rischia di non essere più la capitale dei “Call Center”. In città e provincia, infatti, i posti di lavoro a tempo indeterminato a rischio nel settore sono circa 2500, e nelle attività a progetto circa 6000.  Numeri che entro quest'anno potrebbero aumentare ulteriormente se si seguisse l'attuale trend di delocalizzazioni verso l'estero. Da qualche anno a causa della fine degli sgravi fiscali e delle agevolazioni da parte del Governo è iniziato un lento trasferimento delle sedi dei call center verso località estere, economicamente più convenienti come l'Albania, la Romania, la Croazia, la Tunisia e l'Argentina.

All'incontro sono intervenuti gli amministratori delegati e responsabili per le risorse umane di importanti imprese del settore; tra questi Luca D'Ambrosio, amministratore delegato Visiant Next spa, Giovanni Mantelli amministratore unico QE' Call center srl e Carmine Spina, amministratore delegato della Eurocall network. All'incontro hanno anche partecipato il deputato nazionale del PD Giuseppe Berretta e il deputato regionale del PD Concetta Raia.

"Dopo la crescita degli anni Novanta, e grazie anche al sistema degli sgravi fiscali, la nostra Isola ha vissuto una stagione florida per la crescita dei call center – spiegano il segretario generale della CGIL Catania Angelo Villari e il segretario confederale Giovanni Pistorio - ma le delocalizzazioni oggi rischiano di indebolire il valore tutto italiano della privacy dei consumatori a causa del trasferimento di quantità indefinite di dati personali sensibili di cittadini (codice fiscale, dati bancari, numeri di carte di credito) in Paesi che non garantiscono un'adeguata tutela e che sono tra i primi al mondo per tasso di pirateria informatica. Per questo crediamo che gli enti committenti per primi debbano evitare queste pratiche. Per fortuna, c'è chi non ha intenzione di affidarsi ai Paesi esteri e vuole investire sul nostro territorio e le nostre professionalità".

Le aziende, intanto, devono fare i conti con un mercato che cambia rapidamente le regole e con un contesto non sempre favorevole come quello siciliano. Spiega D'Ambrosio: "Ben vengano gli aiuti di Stato. Ma che senso ha scappare quando finiscono? Non è così che si cresce, non è così che si valorizza un territorio dove si è scelto di investire. Purtroppo gli aiuti possono essere solo un palliativo. Crediamo invece negli investimenti in strutture tecnologiche ma anche nella formazione. Cosa lasciamo ai ragazzi che lavorano per noi all'inizio delle loro carriera, e poi, magari, trovano altro? Professionalità, un metodo di lavoro ed anche delle conoscenze tecniche che torneranno loro utili"

Un intreccio di volontà e circostanze che sembra animare le aziende più serie. Mantelli assicura: "In un anno abbiamo investito più di un milione di euro senza aiuti pubblici. E questo è un dato che significa molto. In Sicilia contiamo 900 lavoratori, di cui 250 dipendenti e gli altri sono a progetto. Questi ultimi, però, hanno un fisso che non li differenzia dai dipendenti. Crediamo invece che qui i veri problemi siano altri: la burocrazia che applica regole solo a chi le regole le segue. Dimenticandosi degli abusivi"

C'è anche l'incredibile vicenda dei "sottoscalisti". Così li chiama Carmine Spina: "Nel senso che fanno concorrenza sleale a chi crede nell'impresa onesta, organizzando squadre di ragazzi sistemati nei sottoscala senza regole e senza tutele. Noi siamo invece presenti in Sicilia da otto anni. Puntavamo sul manifatturiero e poi abbiamo diversificato. Oggi contiamo 600 dipendenti tra Sicilia, Puglia, Lombardia e Piemonte. A Catania abbiamo 300 lavoratori stabilizzati e 900 collaboratori. Questi ultimi hanno una scolarizzazione elevata e per i collaboratori si tratterà di un lavoro di passaggio. Ma è un problema di business. Una cosa è però certa: crediamo nella qualità del servizio, formiamo queste persone con un approccio molto professionale ed etico. Non abbiamo intenzione di andar via e crediamo nella validità dell'impresa a prescindere dal fatto che arrivino o meno gli aiuti pubblici. Molto però dipende anche dalla commesse...".

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