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Cronaca

Operazione "Malupassu", gli imprenditori denunciano e i boss finiscono in manette

Pietro Puglisi, nonostante fosse in carcere, continuava a comandare. La cappa asfissiante del clan su Mascalucia, per conto dei Santapaola Ercolano, stronacata dai carabinieri

Stavolta le vittime delle estorsioni e delle intimidazioni mafiose hanno denunciato e i loro aguzzini sono finiti alla sbarra. Prende le mosse anche dalla ribellione degli imprenditori l'operazione Malupassu che ha portato agli arresti di 20 persone, 18 in carcere e 2 agli arresti domiciliari.

Com'è nata l'indagine - Video

I volti degli arrestati nell'operazione Malupassu

Il provvedimento giudiziario è stato eseguito da oltre duecento carabinieri del comando provinciale etneo su tutto il territorio nazionale ed ha riguardato esponenti apicali ed affiliati alla famiglia di cosa nostra “Santapaola- Ercolano” attiva nel capoluogo e in tutta la provincia. Le accuse sono associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti ed altri reati.

I nomi degli arrestati

Gli ordini dal carcere

Le indagini, partite nel 2017, hanno permesso di passare ai raggi x i vari gruppi del clan Santapaola - Ercolano, specie quelli operanti nel territorio di Mascalucia sotto la direzione dei familiari dello storico boss ergastolano Pietro Puglisi (il genero del capomagia Giuseppe Pulvirenti, detto il Malpassotu), oggi detenuto con il regime del 41 bis. E' emerso che Puglisi, non ancora al 41 bis, riusic a impartire ordine dal carcere e poi l'organizzazione sul territorio era stata affidata a Salvatore Mazzaglia, Mirko Casesa e Alfio e Antonio Carciotto i quali venivano affiancati dai fratelli Bonanno.

Video | Le immagini dell'operazione

Nello specifico proprio Salvatore Bonanno, adesso collaboratori di giustizia,  aveva approfittato dell’assenza degli esponenti apicali del gruppo e aveva assunto un ruolo importante, tanto da avviare e gestire personalmente attività estorsive con la collaborazione dei suoi fratelli, andando ben oltre i compiti assegnatigli.

La scarcerazione e gli imprenditori taglieggiati

A far ripiombare nella paura gli imprenditori era stata la scarcerazione di Salvatore Puglisi, figlio di Pietro, nel 2017. Era subito divenuto responsabile del gruppo di “Mascalucia” riaffermando il controllo del territorio e la posizione di vertice che aveva prima dell’arresto, operando in sinergia con gli altri sodali del gruppo e aveva ricominciato a mettere in campo azioni estorsive. Infatti l'indagine prende spunto dalla senuncia sporta presso gli uffici della compagnia di Gravina di Catania nel febbraio del 2017 per tentata estorsione dai titolari di una ditta di costruzioni, i quali indicavano solo di aver rinvenuto presso un proprio cantiere edile un biglietto manoscritto a carattere intimidatorio, riportante l’inequivocabile richiesta del pagamento di una somma di denaro, pena la distruzione dello stesso cantiere. Da quella denuncia è partita l'indagine che ha permesso di ricostruire i movimenti del clan, guidato dall’ergastolano Pietro Puglisi, che esercitava l’azione di comando dal carcere per il tramite dei figli Salvatore e Giuseppe, e si è ricostruita l’esatta composizione del gruppo malavitoso e i ruoli dei sodali.

Il racket per "mantenere" i detenuti

Le somme raccolte dal racket venivano destinate al mantenimento dei sodali detenuti  nonché al soddisfacimento delle esigenze comuni del gruppo. Il clan imponeva la sua forza e dominio del territorio anche con il traffico di marijuana e hashish, dimostrando capacità organizzativa nel perpetrare le attività illecite e con l’intento di acquisire, in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque l’assoggettamento di attività economiche e altro per realizzare profitti o vantaggi ingiusti. Sono stati molti i commercianti che hanno trovato il coraggio di ammettere i fatti confermando ulteriormente le responsabilità degli indagati. In totale sono stati contestati ben 15 episodi estorsivi e, nella maggior parte dei casi, gli indizi che già emergevano dalle attività di intercettazione hanno trovato sicuro riscontro e conferma nelle dichiarazioni delle vittime, e solo in pochi limitati casi invece le vittime sono state denunciate per favoreggiamento degli estortori per avere dichiarato il falso.
 

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