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Cronaca

Soldato morto per l'uranio impoverito, il ministero dovrà risarcire la famiglia

Salvatore Cannizzo è scomparso nel 2012 a soli 36 anni per un tumore al cervello. Si era battuto per far emergere cosa accadeva in Kosovo e come veniva maneggiato il pericoloso materiale

Morire per lo Stato. Morire per quella patria che servivi e che avrebbe dovuto tutelarti. Morire a causa del contatto con l'uranio impoverito e lasciare famiglia, affetti e una vita ancora da vivere a soli 36 anni. Adesso la giustizia ha scritto una nuova pagina della vicenda di Salvatore Cannizzo, il sergente della Marina Militare, scomparso nel 2012 dopo una estenuante battaglia contro un tumore al cervello.

La sentenza del tribunale di Catania, terza sezione civile e vergata dal giudice Angelo Pappalardo, mette nero su bianco le responsabilità del Ministero della Difesa che avrebbe dovuto tutelare Cannizzo, e come lui centinaia di altri suoi commilitori, con protezioni adeguate dal rischio di contatto con l'uranio impoverito nelle missioni di pace in Kosovo. Responsabilità che adesso dovrà pagare con un risarcimento alla sua famiglia.

"Ho sempre creduto in questa battaglia per ottenere un risarcimento - spiega a Catania Today l'avvocato Sergio Consoli, che con il collega Davide Preziosi ha seguito la causa difendendo le tesi dei familiari - e ho spiegato ai genitori di Salvatore quanto fosse importante procedere in questo senso. E' una vittoria di tutto un gruppo di avvocati, quello del nostro studio, che ha lavorato anima e corpo per questa vicenda. Tra l'altro si tratta della prima sentenza che riconosce il tumore al cervello come derivante dal contatto con l'uranio impoverito".

Sicuramente il Ministero farà appello. Il "caso" Cannizzo potrebbe aprire un precedente: sono tantissimi i nostri militari deceduti o che si sono ammalati a seguito del contatto con l'uranio durante le missioni di pace compiute tra la fine degli anni '90 e i primi anni del 2000.

Chi era Salvatore Cannizzo

Un ragazzo prestante e forte di Librino che, come tanti altri coetanei, nel 1995 aveva deciso di arruolarsi e partire militare. Sergente della San Marco si reca in Kosovo in missione di pace. Uno scenario dove era comune l'uso delle armi con l'uranio impoverito e in cui gli americani usavo tute ignifughe e autorespiratori, mentre gli italiani non erano dotati di alcun tipo di protezione specifica.

Dopo qualche anno, precisamente nel 2006, Cannizzo ha scoperto di avere un tumore al cervello. Una patologia che lo prova duramente e che, dopo un periodo trascorso a lavorare negli uffici del Ministero, lo porta alla pensione anticipata. Per la cifra di 800 euro al mese. L'ennesimo "affronto" che il militare decide di rendere pubblico, arrivandosi anche a incatenare dinanzi la sede di Catania della Regione Siciliana rivendicando il diritto di vedere riconosciuta la causa di servizio dal ministero della Difesa e un indennizzo per la malattia contratta.

"Come me ci sono altri 2000 militari – aveva dichiarato ai giornalisti – e più di 300 sono morti. Dei nove colleghi della mia squadra ben cinque si sono ammalati di patologie simili. Ma il ministero non riconosce nessun indennizzo, come fanno a dire che non è una causa di servizio?".

Era anche stato impegnato in politica, nel ruolo di consigliere di quartiere a Librino e denunciava il degrado della zona, cosa non andava, gli sprechi e la mancanza di futuro per i giovani.

La sentenza

Purtroppo il militare catanese, in vita, non ha avuto giustizia. Ma la sentenza ricalca quello che era il suo convincimento: la mancata protezione con il contatto con l'uranio impoverito aveva causato la malattia.

"Deve ritenersi accertata - scrive il giudice - la responsabilità del Ministero della Difesa ai sensi dell'art. 2043 c.c., nonché ai sensi dell'art. 2050 c.c. per l'insorgenza della patologia tumorale in capo a Cannizzo Salvatore e per il conseguente decesso, in ragione della condotta omissiva colposa dell'autorità militare che non ha fornito adeguate informazioni al personale militare in servizio, non ha pianificato e valutato gli elementi di rischio e non ha predisposto delle misure di protezione individuale atte, se non ad eliminare l'assorbimento di sostanze dannose confuse nelle polveri dell'aria, almeno a ridurre in termini apprezzabili i rischi per la salute"-

Viene evidenziato "il dolo o la colpa nella causazione dell'evento lesivo" poiché "il Ministero della Difesa, consapevole della pericolosità di un materiale quale l'uranio impoverito, in qualità di datore di lavoro avrebbe infatti dovuto prima accertare la presenza di tali particelle nei luoghi delle operazioni, successivamente informare adeguatamente circa i rischi dell’esposizione ed infine attuare delle adeguate misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori/militari, con particolare riferimento ai dispositivi di protezione individuale necessari in situazioni del genere".

Una verità giudiziaria finalmente emersa che consente alla famiglia di essere risarcita. Un risarcimento che non lenirà mai il dolore per aver perso un figlio a soli 36 anni.

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