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Cronaca

Coronavirus, cluster maltese: "Incertezza per i lavoratori siciliani"

La testimonianza della giornalista catanese Maria Grazia Strano che vive e lavora nell'Isola dei Cavalieri: "Alcuni sono già andati via, su 10 mila italiani la maggioranza è siciliana, in particolar modo etnea

Aumento dei contagi legati al cluster maltese, nuove restrizioni e controlli per chi arriva dall'arcipelago: una situazione che coinvolge anche tantissimi siciliani che vivono e lavorano nell'Isola dei Cavalieri e per molti di loro si prospetta uno scenario di incertezza. Catania Today ha raccolto la testimonianza di Maria Grazia Strano, giornalista catanese che dal 2008 vive e lavora nell'Isola dei Cavalieri. E' il vice direttore del Corriere di Malta, quotidiano on line della comunità di lingua italiana.

I giorni scorsi il presidente della Regione siciliana ha attivato maggiori controlli per chi rientra proprio dalle isole dell’arcipelago maltese. Il governo maltese ha attivato protocolli simili?

La nuova ordinanza del presidente Nello Musumeci ha mandato letteralmente in tilt i siciliani che vivono a Malta. L’ordinanza difatti distingue due categorie di “viaggiatori”: i turisti siciliani che rientrano da Malta (che dovranno fare la quarantena obbligatoria fino all’esito del tampone negativo) e i non residenti in Italia che vanno in Sicilia. La seconda categoria di viaggiatori però non coincide esclusivamente con i maltesi perchè sono davvero in tanti i siciliani che hanno spostato la loro residenza a Malta. Ma chi però, pur vivendo e lavorando a Malta, non è iscritto all’Aire (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), ha ancora la residenza in Italia, ergo verrà considerato come un turista. Questo comporta che centinaia (forse migliaia) di siciliani che non hanno comunicato il loro trasferimento di residenza al proprio Comune, dovranno rinunciare alle loro brevi (e meritate) vacanze per riabbracciare i propri cari per colpa, alla fine, di una loro negligenza. Dal canto suo il Governo maltese non ha – ancora - attivato protocolli simili, ma è stato espressamente detto in conferenza stampa dal Ministro della Salute Chris Fearne che la “lista rossa” dei Paesi i cui casi di contagio stanno aumentando vertiginosamente sarà aggiornata di settimana in settimana. L’Italia potrebbe essere tra questi.

Ha una stima di quanti nostri concittadini potrebbero trovarsi in una situazione di incertezza?

A Malta ci sono circa 10 mila lavoratori italiani sull'isola e la maggioranza è siciliana, in particolar modo etnea. Ne conosco alcuni che sono già andati via: chi lavora nella ristorazione o in generale nel settore turistico e dell’intrattenimento non ha davanti, purtroppo, un futuro roseo. Anche le autorità maltesi hanno adottato provvedimenti per il contenimento dei nuovi contagi: discoteche chiuse e obbligo di mascherine anche all'aperto. Anche qui l'industria turistica, che è la linfa vitale delle isole maltesi, ha subito dei contraccolpi, e non mi riferisco solamente alle discoteche e ai club. Gli alberghi hanno ricevuto un terzo delle loro “abituali” prenotazioni, alcune strutture non hanno addirittura aperto. Le scuole d’inglese, altro motore dell’isola, sono state terreno fertile per alcuni focolai di infezioni. Le pompose feste religiose, fiore all’occhiello del turismo “adulto” hanno portato decine di contagi.

L'aumento dei contagi delle ultime settimane registrato in Sicilia è legato in parte al cosiddetto cluster maltese. Qual era la situazione a Malta prima della riapertura dei flussi turistici? Come è stata gestita, secondo te, l'emergenza sanitaria? È stato adottato un lockdown simile a quello italiano?

A mio avviso Malta, almeno apparentemente, all’inizio ha gestito egregiamente l’emergenza sanitaria nel famoso trimestre marzo/aprile/maggio. La Sovrintendente alla Salute Charmaine Gauci ogni giorno con pazienza e fare materno spiegava i dettagli dei nuovi casi, invitava alla prudenza e rispondeva alle domande dei giornalisti. I tamponi erano eseguiti “a tappeto”, bastava telefonare al numero d’emergenza per essere sottoposti al test anche da asintomatici: l’obiettivo era “testare e isolare”. Non è esistito un vero e proprio lockdown (non me ne vogliano i proprietari di ristoranti o i gestori di saloni di bellezza che ovviamente sono stati costretti a chiudere), si poteva uscire di casa (nelle settimane più cruciali a gruppi di massimo tre persone – con multe salate a chi non rispettava l’ordinanza e la quarantena) ma era vivamente sconsigliato a chi avesse più di 65 anni o a chi soffrisse di gravi patologie di uscire fuori di casa. Nessuno passava per le strade con il megafono per ricordare che fuori era pericoloso, come mi hanno raccontato diversi amici catanesi e nessun posto di blocco o elicottero “terrorizzava” i cittadini. Ultimo fattore, ma non per importanza, gli abitanti di Malta (maltesi e italiani in particolare) erano come spaventati da quello che stava succedendo in Italia e prima di qualunque ordinanza la popolazione si è posta saggiamente in autoisolamento: poca gente per strada e sempre meno bambini a scuola. Nelle prime settimane di luglio Malta era praticamente un Paese covid-free: per fare un semplice esempio il 15 luglio, dopo settimane con zero nuovi contagi, si contavano solo 3 casi attivi in tutto l’arcipelago e facile a dirsi, nessuno in terapia intensiva. Queste settimane di apparente serenità coincidevano con la riapertura del Malta International Airport, che se pur gradualmente (prima la Sicilia, poi il resto d’Italia ad esempio) ha iniziato ad accogliere nel giro di una decina giorni turisti da ben 47 diversi Paesi diversi: Gran Bretagna, Slovenia, Portogallo, Cina, Giappone e Australia solo per citarne alcuni. Il Governo era un tripudio di orgoglio: il Ministro del Turismo e quello dell’Economia si sono fatti fotografare agli arrivi con cartelli di benvenuto per i turisti, il primo Ministro Abela ha affermato con fare trionfante di aver mantenuto le sue promesse, tra gli applausi scroscianti dei laburisti. Oggi, dopo solo un mese, si registrano più di 600 casi attivi.

Maria Grazia Strano

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