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Cronaca

Lotta agli incendi, il "metodo Aspromonte" poteva salvare i nostri boschi : perché non adottarlo?

Era il 2003 quando il modello calabrese balzò agli onori delle cronache: il Parco Nazionale dell'Aspromonte aveva affidato 40mila ettari di foresta al terzo settore con contratti di responsabilità sociale e territoriale. Un modello che aveva consentito di evitare incendi distruttivi: poi però è stato abbandonato

Ettari ed ettari di riserve, di pinete, di foreste siciliane sono andate a fuoco. Un immenso patrimonio naturale perso senza rimendio, migliaia di animali uccisi e un territorio devastato. C'è anche chi, purtroppo, ha perso la vita nel tentativo di spegnere i roghi - come nel caso di un giovane uomo di Paternò -, ci sono gli uomini e le donne della protezione civile, della forestale, della protezione civile che sono stremati nella lotta alle fiamme, ci sono cittadini che volontariamente hanno dato una mano ai soccorritori, venuti da tutta Italia per sostenere una Regione in piena emergenza.

Sono scattate le immancabili polemiche politiche: la Regione accusata di non aver messo in campo mezzi e risorse adeguate, comunicati stampa al vetriolo e dichiarazioni a mezzo social. Ma in tutto questo mare di rimbrotti non sono state avanzate soluzioni nuove. C'è chi ha proposto di inasprire le pene nei confronti dei piromani, chi ha chiesto di mettere le taglie su chi appicca gli incendi e chi chiede una nuova programmazione delle risorse anti incendio e una maggiore dotazione dei mezzi.

In tutto ciò è emerso quello che era il "metodo Aspromonte". Un metodo ripreso anche dalla grande stampa nazionale e che aveva permesso di evitare gli incendi e di controllare meglio il territorio.

Come funzionava il modello Calabria 

Quasi 20 anni fa in Aspromonte era stato concepito un metodo virtuoso: con un bando pubblico i circa 40mila ettari del Parco Nazionale erano stati dati in affidamento al terzo settore, ad esempio ad associazioni, cooperative. Nel contratto era prevista l'erogazione di un contributo in base all'estensione di terreno da gestire. Poi vi era un ulteriore contributo alla scadenza del contratto che andava al terzo settore solo se la superfice, eventualmente colpita da un incendio, non superava l'1% del totale preso in gestione. In buona sostanza si trattava di contratti di responsabilità sociale e territoriale che vennero presi come modello anche dall'Unione Europea. Un modello premiante di gestione del territorio. Addirittura dal 2013 al 2018 - come riporta il Quotidiano del Sud - il presidente del Parco dell'Aspromonte aveva sancito accordi con i pastori per la cura e la vigilanza del territorio, in modo tale da far sentire tutti "custodi del territorio" con specifiche premialità.

Un modello che si era rivelato virtuoso e che non seguiva la logica del contratto al massimo ribasso ma si sceglievano, nel caso del terzo settore, altri parametri in grado di valorizzare il territorio mediante i progetti più validi. Questo modus operandi però non è divenuto comune alle altre aree boschive del Sud Italia. Troppo forti altri interessi? C'è chi parla dei business di chi gestisce le società anti incendio. L'abbandono di un metodo virtuoso ha portato ad avere incendi di grosse dimensioni anche sull'Aspromonte. Eppure vi era un risparmio notevole sui costi: da mille ettari bruciati ogni anno si era scesi a 100 -150 con una spesa di appena 400mila euro, mentre per tutto l'anti incendio calabrese si spendono 18 milioni di euro. La nostra Regione potrebbe considerare questo tipo di gestione: il nostro patrimonio è duramente provato e occorre pianificare il futuro se non vogliamo continuare a vivere in una terra che assiste sempre allo stesso triste copione ogni estate. Poi i comunicati stampa e le dichiarazioni sui social lasciano il tempo che trovano se non si inverte la rotta.

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