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Cronaca

Omicidio Laura Russo, parla la madre: “La mia famiglia dimenticata dalle Istituzioni”

Parla Giovanna Zizzo, madre della piccola Laura Russo barbaramente uccisa dal padre a San Giovanni La Punta nel 2014. L'uomo è stato condannato ma ai tre figli della coppia non è arrivato alcun aiuto dallo Stato dopo la tragedia subita

Sono passati quasi sette anni da quel terribile 22 agosto del 2014 insanguinato e segnato per sempre dal gesto folle di un padre, Roberto Russo che, a San Giovanni La Punta, uccise una figlia a coltellate riducendone in fin di vita un'altra tentando poi il suicidio. Sette anni di grande dolore per una famiglia distrutta: Laura Russo morì a soli 11 anni mentre la sorella Marika entrò in coma e dopo interventi e circa 80 punti di sutura riuscì a salvarsi. Ma le ferite, quelle dell'anima, non si rimargineranno mai per una famiglia devastata con il padre condannato all'ergastolo e tre figli rimasti senza la loro sorellina e con un futuro da affrontare. Giovanna Zizzo, la moglie di Russo e madre di Laura, con grande coraggio e tenacia è stata sempre al fianco dei suoi figli e ha perorato una battaglia per ottenere giustizia. Nel corso degli anni ha cercato di sensibilizzare sul tema della violenza domestica, ha portato la sua testimonianza nelle scuole e nelle istituzioni e ha cercato di accendere i riflettori sulle "vittime dimenticate" delle atrocità che spesso si scatenano tra le mura di casa. Infatti le vittime dei reati violenti sono spesso confinate in un limbo: hanno subito atrocità devastanti - basti pensare ai fratelli della piccola Laura che hanno assistito all'omicidio da parte del padre della loro sorellina - ma non hanno diritto ad alcun beneficio da parte delle istituzioni. Per loro non ci sono né indennizzi né sostegni psicologici o lavorativi per il reinserimento sociale da parte della pubblica amministrazione. Una situazione denunciata più volte da Giovanna Zizzo che, di recente, alla Camera con l'onorevole etnea Simona Suriano e la deputata Stefania Ascari ha tenuto una conferenza stampa proprio per chiedere una revisione della legge al fine di estendere i benefici della legge anche agli altri parenti delle vittime di reati violenti. Ne abbiamo parlato direttamente con questa madre che ha perso una figlia ma non il coraggio di chiedere giustizia.

A distanza di anni quali sono i sentimenti che prova e quali le maggiori difficoltà incontrate dopo una tragedia simile? Qualche tempo fa ha scritto una lettera al Corriere della Sera per denunciare i pregiudizi della comunità del paese e i silenzi che aveva incontrato...

"Nonostante quella lettera e la risonanza che ha avuto poco è cambiato. C'è stato un silenzio assordante e vergonoso ma ormai non mi tocca più di tanto. Pregiudizio e isolamento, ma c'è stato anche il silenzio delle istituzioni che subito dopo la tragedia avevano assicurato vicinanza e solidarietà ma che poi non hanno fatto nulla. Mi sono rimasti tre figli e sono tutte e tre delle vittime. Vittime senza alcun diritto e senza alcun sostegno..."-

Non sono stati supportati dopo ciò che è accaduto?

"No...c'è Marica che è una sopravvissuta. E' stata in coma, ha avuto una emorragia interna e porta su di sé 80 punti di sutura. Oggi ha 20 anni e ha passato qualcosa di tragico ed indescrivibile: le è morta la sorellina tra le braccia. Eppure lei non è riconosciuta come vittima, non ha diritti. Noi non chiediamo favori ma solo un sostegno, così come avviene per le vittime di mafia, del terrorismo. Non è una questione di indennizzi economici ma di supporto per ricostruire una vita, anche nel campo lavorativo. Vedevo i miei figli andare all'ufficio di collocamento per cercare un lavoro ma per la loro situazione non avevano diritto a nulla. Le vittime di reati violenti sono tante e credo che non possona esistere vittime di serie a e di serie b".

Adesso come stanno i suoi figli? Sono riusciti a ricostruire una vita?

"Hanno una forza incredibile e sono riusciti ad andare avanti ma hanno perso la speranza nelle istituzioni. Andrea ha scritto nel 2018 al presidente della Repubblica e al Prefetto ed è riuscito a trovare occupazione in una ditta di raccolta dei rifiuti. E' contento perché lo impegna molto: prima stava in casa tutto il giorno ma il lavoro l'ha fatto rinascere. E' chiaro che qualunque cosa faranno vivranno sempre con un dolore costante che si legge nei loro occhi".

Lei ha anche detto che, forse, era meglio che suo marito avesse ucciso lei al posto di sua figlia...

"L'ho detto perché mi è stato detto tante volte. "Era meglio se ammazzava te", mi hanno ripetuto spesso e me ne sono convinta pure io. I miei figli se fossi morta io avrebbero avuto un supporto riconosciuto dalla legge, supporto che adesso non hanno..."

Adesso alla Camera si è parlato di proposte migliorative sulla legge per le vittime dei reati violenti. E' fiduciosa?

"Ho trovato molta sensibilità e disponibilità all'ascolto. Sono convinta che prima di fare le leggi si debbano ascoltare le parti in causa, in questo caso le vittime. Ho visto sia nei parlamentari sia nel prefetto Cardona molta comprensione. Quella che stiamo vivendo adesso in Italia è una vera e propria emergenza per cui occorre aiutare e sostenere le famiglie. Prima era la mafia che lasciava scie di morti, adesso ci sono omicidi su omicidi in famiglia e non è accettabile".

Dal 2014 è cambiato qualcosa in termini di legge e prevenzione?

"Sì, sono state fatte anche delle buone leggi ma occorre migliorare per quanto concerne il sostegno a chi commette violenza. Sono stata spesso a visitare case rifugio per le donne. A volte sembra che siano le donne a dover scappare dal violento, quasi come se fossero loro a doversi nascondere insieme ai figli. Perché invece non si isola il soggetto violento in una struttura ad hoc e non si prevedono percorsi di correzione e supporto? Su ciò c'è tanto da fare".

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