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Cronaca

Libero Grassi, sono passati 31 anni dalla morte dell'imprenditore che si ribellò al pizzo

La sua morte, come accaduto altre volte in Sicilia, ha contribuito a dotare l'Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi

"Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia". Era il 10 gennaio del 1991 e l'imprenditore Libero Grassi, attraverso una lettera inviata al Giornale di Sicilia alzava la testa contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza di Cosa nostra. Un atto rivoluzionario in una Sicilia in cui pochi imprenditori avevano il coraggio di denunciare il racket. Un coraggio che Grassi pagherà con la propria vita qualche mese dopo. 

Il 29 agosto infatti, alle sette e mezza del mattino, in una Palermo ancora avvolta dalla calura estiva, mentre a piedi si stava recando al lavoro viene affrontato da un killer che gli scarica quattro colpi di pistola uccidendolo. Cosa nostra in questo modo punirà chi, apertamente e pubblicamente, aveva avuto l'ardire di ribellarsi, di tentare di liberarsi dal cappio stretto attorno alle aziende siciliane. La sua esistenza è la testimonianza di una eroica disobbedienza verso le regole del malaffare. Da uomo probo e dalla schiena diritta lottava per i suoi ideali, sempre, senza mai abbassare la testa. Fu un martire laico nella lotta civile e imprenditoriale alle mafie.

Nato a Catania nel 1924 in una famiglia antifascista (il suo nome è esso stesso un tributo a Giacomo Matteotti), a otto anni si trasferisce a Palermo. Studia tra Palermo e Roma sognando di diventare diplomatico, per poi assecondare il volere del padre commerciante. Si forma a Gallarate, nel profondo nord industriale. La formazione gli permetterà di tornare in Sicilia e aprire uno stabilimento tessile. Libero Grassi non era un semplice imprenditore tutto "fabbrica e lavoro", è stato un grande attivista civile, impegnato nella politica dapprima avvicinandosi ai Radicali poi al Partito Repubblicano. Ma il suo più grande impegno è nella lotta alla mafia da imprenditore, attraverso un gesto che a quel tempo appariva rivoluzionario: rifiutarsi di pagare il pizzo, obiettando con un secco no alle telefonate del fantomatico "geometra Anzalone".

"Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere - scrive l'imprenditore nella lettera indirizzata al Giornale di Sicilia - Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al 'Geometra Anzalone' e diremo no a tutti quelli come lui". Dopo la lettera Grassi si sente solo, avverte la mancata vicinanza di Sicindustria. Oramai vulnerabile è bersaglio facile per la mafia. A premere il grilletto e uccidere l'imprenditore è Salvino Madonia, figlio del boss di Resuttana, ma il via libera al suo omicidio è stato deliberato dall'intera Cupola.

La sua morte, come accaduto altre volte in Sicilia con il sacrificio di altri eroi civili, ha contribuito a dotare l'Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi: al varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l'istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione. Un sacrificio che non è risultato vano, una morte che ha scosso le coscienze e convinto molti imprenditori allora come oggi, a distanza di 31 anni esatti, a denunciare il pizzo. Preziosa la sua collaborazione per individuare gli estortori, i fratelli Avitabile, temibili esattori della famiglia Madonia di Resuttana.

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