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Lunedì, 29 Aprile 2024
Mafia

"Locu", l'assetto del clan Cappello-Bonaccorsi "prima" e "dopo" la sparatoria di Librino

Nel "Locu" i capi-piazza assicurano costanti ed ingenti introiti in denaro al clan Cappello-Bonaccorsi. Un controllo preciso che, quindi, taglia fuori altre storiche famiglie mafiose della città. Ma c'è un episodio che fa cambiare gli assetti interni, creando sottogruppi: la sparatoria dell'8 agosto 2020

Il "Locu" è dei Cappello-Bonaccorsi. Una zona, a San Cristoforo, "plasmata" secondo le loro regole. Piccole viuzze e cortili, ai quali si sono aggiunti nuovi cortili, mura, fortificazioni, cancelli per garantire uno spaccio "protetto". Qui l'urbanistica si è adattata alle dinamiche degli affari. Qui vedette "fisse" e "dinamiche" pattugliano il territorio dagli occhi indiscreti dei "mosconi", ovvero delle forze dell'ordine. Le prime in strada o affacciate alle finestre. Le seconde in continuo movimento a bordo di scooter. In dotazione ricetrasmittenti per avvisare i pusher. In questa zona, i capi-piazza assicurano costanti ed ingenti introiti in denaro al clan Cappello-Bonaccorsi. Un controllo preciso che, quindi, taglia fuori altre storiche famiglie mafiose della città. Ma c'è un episodio che agita le acque e fa cambiare gli assetti interni: la sparatoria di Librino dell'8 agosto 2020.

sparatoria a Librino

Gli screzi "prima" della sparatoria a Librino

Il contrasto che ha portato alla sparatoria dell'8 agosto 2020 è legato al monopolio nella gestione delle "piazze di spaccio" attive nel quartiere di San Berillo e nella zona di vale Mario Rapisardi che Carmelo Distefano, dei Cursoti, rivendicava per sé e per il gruppo a lui facente capo. Gli screzi tra i Cappello e Melo Pasta "ca sassa" ( Carmelo Distefano) erano stati numerosi da quando quest'ultimo era uscito dal carcere. "Mi pare che stu scimunito non ha caputo nenti e vuole abbidire a fozza". Così Rocco Ferrara manifestava la sua insofferenza per l'atteggiamento di Distefano che non ammetteva alcuna ingerenza criminale nelle zone che sosteneva fossero sue. Da qui la decisione di dare una risposta armata e forte al clan dei Cursoti, dando il via insieme ai sodali alla grave sparatoria dell'8 agosto 2020. "L'azione, connotata da grande concorso di uomini e mezzi (28 uomini, a bordo di 14 veicoli a due ruote), prevedeva la ricerca e l'aggressione fisica con armi di Distefano Carmelo e dei suoi accoliti", si legge nelle carte dell'inchiesta. In questo contesto, Ferrara si è relazionato con esponenti del clan Cappello e ha rivestito un ruolo decisivo nel regolamento di quel momento di tensione con il clan dei Cursoti.

"Dopo" la sparatoria cambia l'assetto interno del clan

"Il clan Cappello è suddiviso in più gruppi, in particolare a seguito dei fatti di sangue dell'agosto 2020", dalle dichiarazioni di un testimone di giustizia. Dopo la sparatoria di Librino, infatti, si crearono non pochi allontanamenti all'interno dello stesso clan. Molti criticavano i Cappello per come erano andate le cose. Nascono così dei sottogruppi all'interno dello stesso clan. Quello organizzato e diretto da Rocco Ferrara e composto, fra gli altri, dai fratelli Giovanni Agatino e Renè Salvatore Distefano; il gruppo operante nel quartiere San Cristoforo e composto da Domenico Querulo e Filippo Crisafulli, questi ultimi in qualità di membri della compagine criminale dei "Cacazza" già parte integrante del clan "Cappello-Bonaccorsi". Ferrara diventa "esponente autorevole del clan Cappello" e assume un ruolo organizzativo direttivo. Aveva anche avviato un traffico di droga con la Spagna. La sostanza la faceva arrivare a Milano, qui aveva creato un punto vendita e di smistamento per ridurre il rischio dell'arrivo in Sicilia della droga. Nella gestione del "Locu", Ferrara e i fratelli Distefano acquistavano ingenti quantitativi di cocaina da fornitori (probabilmente calabresi), per poi rifornire sistematicamente le "piazze di spaccio" controllate dal clan Cappello-Bonaccorsi nei vari quartieri, i cui gestori erano obbligati ad approvvigionarsi, per almeno una parte del loro fabbisogno, proprio da loro.

spaccio dai balconi

I tre canali di spaccio 

La piazza di spaccio era rifornita di cocaina attraverso tre distinti canali di approvvigionamento: il primo, riconducibile all'articolazione del clan mafioso Cappello-Bonaccorsi, storicamente dedicato alla gestione delle piazze di spaccio nel rione popolare San Cristoforo, capeggiata da Domenico Querulo, detto "Domenico da za' Lina"; il secondo, riconducibile ad un'altra frangia del clan mafioso Cappello-Bonaccorsi i cui vertici sono rappresentati da Rocco Ferrara e Giovanni Agatino Distefano, detto "Giuvanneddu cammisa" e il fratello Renè Salvatore; il terzo, riconducibile al grossista di cocaina Giovanni Orazio Di Grazia, figlio del più noto Orazio, già esponente del clan mafioso Laudani, "mussi ri ficurinia"). 

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