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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Prestiti a tassi da usurai e controllo delle piazze di spaccio: decapitato il nuovo "gruppo di Picanello"

Quindici le persone arrestate questa mattina dalla guardia di finanza. Secondo i magistrati della Dda di Catania i "promotori e organizzatori" dell'associazione mafiosa sarebbero stati il noto imprenditore del settore floreale Carmelo Salemi e Giuseppe Russo

Nella mattinata odierna su delega della Procura Distrettuale della Repubblica di Catania, i finanzieri del comando provinciale della guardia di finanza, con la collaborazione del servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata (Scico) nonché il supporto di unità cinofile e antiterrorismo pronto impiego (At-Pt) etnee, di militari delle compagnie di Acireale, Risposto, Paternò e del reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia, hanno dato esecuzione nelle Province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine a un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 26 indagati, con cui il Gip del Tribunale di Catania ha disposto:

- misure cautelari personali nei confronti di 15 persone (14 in carcere e 1 agli arresti domiciliari), indagate, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso nonché delle condotte, aggravate dal metodo mafioso, di usura, estorsione, traffico organizzato e spaccio di sostanze stupefacenti e riciclaggio di denaro nella forma del reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche;

- il sequestro, finalizzato alla confisca, di 9 attività commerciali, aventi sede a Catania e operanti nel settore dell’edilizia, 81 tra fabbricati e terreni siti in provincia di Catania e Arezzo, 5 autovetture e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 12 milioni di euro.

Il gruppo di Picanello

L’indagine, coordinata dalla Procura Distrettuale e condotta da unità specializzate del Gico del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catania, ha preso avvio dai risultati acquisiti nell’ambito di un'altra operazione delle Fiamme Gialle etnee, convenzionalmente denominata “Tuppetturu”.

In quel contesto investigativo era stata censita una conversazione tra presenti in cui alcuni soggetti, ritenuti contigui al clan “Cappello” - articolazione “Cintorino”, discutevano delle dinamiche criminali in corso di evoluzione tra i nuovi referenti del “gruppo di Picanello”, storica branca della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, nell’omologo quartiere di Catania.

In una prima fase delle indagini sarebbe emersa la figura di spicco di Carmelo Salemi, 55 anni, noto come “u ciuraru”, in quanto reale titolare di un esercizio commerciale di rivendita di piante e fiori sito nel quartiere di Picanello. Salemi e i suoi uomini di fiducia, avrebbe avuto il compito di riorganizzare un gruppo mafioso, falcidiato a seguito di una serie di arresti operati nel tempo. Raggiunto Salemi nel 2020 da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, l’attenzione è stata rivolta ai suoi possibili successori e, in particolare, Giuseppe Russo, 48 anni, detto "il giornalista” o ‘“l’elegante”, che avrebbe assunto la reggenza del sodalizio.

L'organizzazione

Il ruolo di Salemi e Russo quali promotori e organizzatori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso sarebbe confermato dal fatto che gli stessi avrebbero partecipato non soltanto ad azioni criminali, ma avrebbero deciso, organizzato, diretto e promosso le condotte per la realizzazione degli scopi illeciti, avvalendosi costantemente, per gli incontri con gli affiliati, di una stalla che si trova a Picanello, intestata a un familiare di Alfio Sgroi (54 anni), ritenuto braccio destro di Salemi. I reggenti si sarebbero inoltre occupati della risoluzione di controversie all’interno del clan e con altri clan, assumendo un ruolo dirimente.

Del “gruppo di Picanello” avrebbero fatto parte anche i sodali Antonino Alecci (62 anni), Andrea Caruso (43 anni), Giuseppe Gambadoro (41 anni), Fabrizio Giovanni Papa (58 anni) e Alfio Sgroi (54 anni), ciascuno con ruoli ben definiti.

I nomi degli arrestati

Il traffico di stupefacenti

In particolare, Alecci, detto “Nino”, avrebbe rivestito una funzione di primaria importanza all’interno del clan, in quanto ritenuto uomo di fiducia del boss storico Giovanni Comis, reggente del gruppo di Picanello dal 2013 al gennaio 2017, quando è stato arrestato nell’ambito di un'altra indagine. Sarebbe stato inoltre il gestore di attività di gioco d’azzardo illegale praticata nella zona di Picanello, i cui introiti sarebbero stati destinati al clan, nonché incaricato della raccolta dei soldi delle estorsioni, comprese quelle perpetrate a Natale e Pasqua, pur occupandosi personalmente e principalmente dell’attività inerente il traffico di sostanze stupefacenti per conto del clan.

Caruso, Gambadoro e Sgroi avrebbero svolto compiti di esecuzione delle direttive di Salemi e Russo, sia nei rapporti interni al gruppo, sia nei rapporti con altre articolazioni della famiglia mafiosa Santapola operanti nel territorio di Catania. Inoltre, si sarebbero occupati delle attività estorsive e usurarie perpetrate in favore o in nome del clan di Picanello e del traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Sgroi sarebbe peraltro risultato braccio destro di Salemi, fungendo anche da tramite tra quest’ultimo e gli altri sodali o i semplici esecutori delle iniziative criminali del capo, quali ad esempio i pusher delle piazze di spaccio gestite dai clan.

I prestiti a strozzo

Una delle attività più redditizie del gruppo sarebbe stata l'erogazione di prestiti a tassi usurari, inseriti in un sistema più ampio di reinvestimento dei proventi rinvenienti dal traffico di sostanze stupefacenti, dalle estorsioni e dal gioco d’azzardo. Gli indagati avrebbero inoltre utilizzato metodi mafiosi per minacciare le vittime e garantirsi il pagamento delle rate di capitale e interessi. Dalle indagini sarebbe emerso un meccanismo collaudato con finanziamenti di piccoli tagli, di norma da 500 a 2.500 euro, da rimborsare in rate settimanali o mensili con un tasso di interesse oscillante tra il 140% e il 350% su base annua.

Uno dei protagonisti di queste attività sarebbe risultato Nunzio Comis, 41 anni, figlio del boss Giovanni, arrestato dalle fiamme gialle nel 2020 all’atto di riscuotere il pagamento di una rata usuraria da parte di un imprenditore. Per svolgere le attività illecite, Comis avrebbe utilizzato un telefono aziendale intestato fittiziamente a un’altra persona, facendosi chiamare “Melo” durante le conversazioni per evitare di essere facilmente identificato. Inoltre, avrebbe fatto uso di un noto bar situato nel quartiere Picanello come punto di incontro per la riscossione delle rate da parte degli indebitati. Gli importi sarebbero stati consegnati a un soggetto chiamato “Lorenzo”, successivamente identificato nell’indagato Lorenzo Antonio Panebianco, 24 anni, all’epoca dipendente del bar. Altri indagati dediti all’attività di usura sarebbero stati individuati in Giuseppe Gambadoro, Corrado Santonocito, 61 anni e Biagio Santonocito, di 32 anni. 

Il riciclaggio dei proventi illeciti

Dalle indagini sarebbe inoltre emersa l’esistenza di una cassa comune del gruppo in cui far confluire i proventi delle attività illecite e da cui attingere per supportare economicamente gli affiliati detenuti o ex detenuti da poco usciti dal carcere e le relative famiglie, sostenendone pure le spese di viaggio in occasione delle trasferte per i colloqui, erogare gli stipendi, pagare gli onorari degli avvocati difensori degli affiliati stessi, reinvestire in altre attività criminali. Vi sarebbe stata anche una contabilità - chiamata la “carta” - composta da appunti scritti recanti i creditori e debitori del sodalizio nonché i guadagni e le spese sostenute.

Il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato infine assicurato da Fabrizio Giovanni Papa, imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, ritenuto particolarmente legato al “gruppo di Picanello” e a Salemi, al quale avrebbe messo a disposizione le proprie società per il riciclaggio di ingenti quantità di contanti provento delle attività criminali del clan, contribuendo a nasconderne l’origine criminale, e per il successivo reimpiego in attività economiche o finanziarie, essenzialmente nell’edilizia, tramite le medesime imprese a lui riconducibili. E difatti numerosi cantieri avviati dalle società di Papa sarebbero sorti mediante gli investimenti dei proventi illeciti dell’associazione mafiosa.

I ragazzini-soldati

Papa si sarebbe inoltre dimostrato profondo conoscitore delle dinamiche interne dell’organizzazione mafiosa e dei loro metodi di gestione delle richieste estorsive nonché della capacità dei boss di comandare anche durante il periodo di detenzione carceraria e del ruolo di “soldati” svolto dai ragazzi più giovani, anche minorenni, utilizzati nella gestione delle piazze di spaccio. Le sue condotte criminali avrebbero pertanto fornito un concreto contributo causale ai fini della conservazione, del rafforzamento e, comunque, della realizzazione, anche parziale, del programma criminale dell’associazione mafiosa sotto il profilo della capacità economica, del potere di infiltrazione nel tessuto economico e del controllo del territorio.

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