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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca

Migliaia di euro al giorno e controllo violento della piazza, così il clan Arena gestiva il traffico di droga in viale Moncada 13

I particolari dell'operazione "Terzo Capitolo" che ha portato questa mattina a trenta arresti smantellando un giro di spaccio con un volume d'affari di svariate migliaia di euro al giorno

Una grande “piazza di spaccio”, con un volume d'affari giornaliero di svariate migliaia di euro, controllata dalla famiglia Arena e situata in viale Moncada 13 nel quartiere di Librino in cui venivano smerciati giornalmente ingenti quantitativi di cocaina, crack, marijuana e skunk tramite un articolato sistema di pusher, vedette, custodi della sostanza stupefacente e responsabili di piazza. Una piazza di spaccio smantellata questa mattina con un blitz condotto dalla polizia di Catania e che ha portato a trenta misure di custodia cautelare, 23 in carcere e 7 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di dimora. Effettuati diversi sequestri di droga di diverse tipologie: complessivamente, 470 grammi di cocaina, 130 grammi di crack e 3 chilogrammi di marijuana.

La struttura dell'organizzazione

L’indagine sulla piazza di spaccio ha messo in luce come l’organizzazione criminale fosse strutturata in maniera piramidale. All’apice della gerarchia c’era Massimiliano Arena, il quale, nonostante fosse detenuto, continuava a dirigere le operazioni dall’interno del carcere, mediante un telefono cellulare. Rosario Turchetti e suo figlio Marco, entrambi capi promotori, erano responsabili diretti della piazza di spaccio. Questa area di spaccio si distingue dalle altre per la sua organizzazione meticolosa e per la presenza di un sistema di controllo e sorveglianza ben strutturato. Il luogo di spaccio si trovava in un sito protetto, facilmente controllabile, operante tutto il giorno con una suddivisione di orari specifici e pusher organizzati in turni.

All’interno del gruppo, diverse figure svolgevano ruoli specifici come pusher o vedette, garantendo la costante operatività della piazza dalle ore 16 all’1:30. Tra i compiti principali vi erano la vendita diretta di sostanze stupefacenti, la vigilanza dell’area per segnalare l’arrivo delle forze dell’ordine, mediante ricetrasmittenti  e il controllo degli accessi all’androne dove avvenivano le cessioni.

I nomi degli arrestati

L'approvvigionamento della droga

L'indagine ha permesso, inoltre, di ricostruire il sistema di rifornimento di cocaina e marijuana della “piazza di spaccio” che avrebbe avuto il principale canale di approvvigionamento in una delle articolazioni del clan mafioso Cappello-Bonaccorsi, storicamente dedito alla gestione del traffico e spaccio di droghe, che sarebbe attualmente capeggiata da Domenico Querulo inteso “Domenico da zà Lina.

Un seconda piazza di spaccio

Le indagini hanno portato alla luce una seconda “piazza di spaccio” situata in viale Moncada al civico 12, gestita da Claudio Guerra e dai suoi figli Carmelo Alessio e Concetto Damiano. Questa piazza, più piccola rispetto a quella al civico 13 scala E, si è rivelata essere complementare e integrativa rispetto all’altra. Mentre la piazza principale era attiva nelle ore pomeridiane e notturne, quella al civico 12 operava principalmente durante la mattinata e fino al primo pomeriggio.

La figura delle due donne: Elisabetta Toscano e Liliana Carbonaro

Nel corso dell’indagine è stato documentato come la droga sarebbe stata confezionata all’interno dell’abitazione di Elisabetta Toscano per poi essere ceduta, per lo più, all’interno dell’androne di un palazzo del quartiere. La cassa dell’associazione, invece, sarebbe stata tenuta da Liliana Carbonaro, madre di Marco Turchetti. 

Totale controllo della zona

Il gruppo aveva il totale controllo dell'area che ritenevano di loro esclusiva pertinenza. Erano disposti a difendere il territorio da eventuali ingerenze da parte di altri gruppi contrapposti, facendo uso anche di armi, alcune da guerra e con un'elevata capacità offensiva. Il clan controllava il territorio fino al punto di vietare ad altre persone che vivevano in quel quartiere di lasciare in giro auto rubate per non attirare l'attenzione delle forze dell'ordine e quindi interferire con i loro affari. Impedivano a chiunque di intraprendere ulteriori attività di spaccio senza una preventiva loro autorizzazione.

Il gruppo non esitava a ricorrere alla violenza anche per punire persone a loro vicine e che "sgarravano" con comportamenti non in linea con quelli dell'associazione. Emblematico è il caso di un pusher accusato di non aver espletato i suoi compiti e quindi venendo malmenato con tanto di minaccia di sfratto per la madre dall'abitazione. Una capacità di gestione territoriale, quindi, che si spingeva fino alla possibilità di decidere chi poteva o non poteva occupare gli alloggi. 

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